C'era una volta... O forse no, questa è una storia, ma non esattamente una favola. E' la storia di un uomo che diede la sua vita per tutti gli esseri umani. Nell' intento di rubare il fuoco agli Dei decise di consegnarlo nelle mani dei mortali. L'uomo non riuscì nella sua impresa e gli Dei lo punirono. Lo incatenarono ad una montagna mentre una possente aquila gli staccava il fegato un pezzo alla volta. Quell'uomo non era mortale e dunque non poteva morire. Fu condannato a dover desiderare la morte, senza poterla afferrare.

Ma può esistere davvero qualcuno capace di desiderare la morte, in qualsiasi momento della propria vita? 

Tralasciando dibattiti etici, morali ed esistenziali, credo proprio che dalle parti di Parigi, ieri sera, qualcuno si sia sentito davvero come il povero Prometeo. Una condanna tremenda, un destino imponderabile fino all'ultimo secondo di una partita folle, ma proprio quel destino (che definirei quasi ineffabile a questo punto) si è preso una bella rivincita su coloro che avevano osato sfidare gli Dei. 

Per una volta nella vita chi si è ritrovato ieri sera davanti alla TV ha avuto una sensazione probabilmente irripetibile. E' uno di quei momenti, di quegli attimi intensi che effettivamente durano parecchio e sono decisivi. E' l'attimo prima che accada qualcosa, quando senti che accadrà e tu ne sei già al corrente. Quando sai che accadrà e sai anche che sarà magnifico. Nessuno poteva crederci, solo quegli undici folli con la maglia azulgrana. Solo un allenatore, bistrattato dalle nostre parti e rimesso sulla forca dopo la partita del Parc Des Princes. In realtà quell'uomo la sapeva lunga e aveva provato a mostrarci il futuro già in conferenza stampa. I vecchi proverbi difficilmente sbagliano: può essere davvero spiacevole dire gatto prima di averlo chiuso nel sacco. Questa volta più che di sacco parlavamo di una valigia intera, ma l'imponderabile ha davvero deciso di giocarci un brutto scherzo nella strana notte catalana.

Il PSG ha mostrato tutti i suoi limiti, dopo essere stato accusato di lesa maestà nella gara d'andata. E' stato bello, per un attimo, credere di aver ferito a morte gli Dei. Dev'essere stato ancor più intrigante aver visto scorrere sangue da vene che fino a quel momento non conoscevano dolore. Ma da quelle ceneri, da quel sangue, gli Dei caduti sono risorti e si sono riappropriati della loro gloria. E poco importa se, per una volta, come nelle favole meglio riuscite non è il più debole a trionfare. Poco importa se abbiamo davanti il Barcellona di Luis Enrique e non il Leicester di Ranieri. Siamo di fronte ad un miracolo sportivo e umano fuori dal tempo e dallo spazio, difficile da contestualizzare e da spiegare.

Da un lato gli eroi, dall'altro ciò che nessuno vorrebbe mai essere. Perché la prospettiva è fondamentale per comprendere bene gli eventi. Nessuno conosce il segreto della vittoria, tutti credono di avere quello per evitare la sconfitta. In realtà, il confine tra vittoria e sconfitta risulta davvero labile, al cospetto degli Dei. Perché le divinità non sono altro che uomini forti, insensibili al dolore e capaci di cose mai viste. Tutti hanno una divinità, nessuno è mai riuscito a vederne alcuna. Ma ieri sera, attorno alle 23, la polizia catalana avrà registrato un boom di avvistamenti. Ci si confonde tra alieni e marziani, tra Dei e divinità. Che poi sarebbero tutti la stessa cosa, ma a noi mortali è concesso solamente di festeggiare, perché se l'ineffabile si manifesta in quegli esseri superiori, non potrà mai essere una notte come le altre.