Alla storia, si sa, ci passano i vincitori. E neanche tutti nello stesso modo. Prendiamo il Mondiale sudafricano del 2010: nella memoria collettiva rimane impresso il gol in finale di Andrés Iniesta, autore della sua stagione forse più altalenante, alle prese con la rottura della fibra muscolare che nei mesi precedenti al Mondiale ne ha limitato l’impiego. 20 presenze da titolare in Liga. Un numero esiguo per un campione della sua caratura. Eppure una sola rete, per quanto importante e decisiva, gli è valsa anche il secondo posto nella classifica del Pallone d’Oro, dietro a Lionel Messi. Tanto di cappello, chiaramente.

LE STELLE DEL BORDO CAMPO – Meno celebri, nella stessa Spagna campione del mondo, sono i suoi compagni che non hanno calcato il campo nemmeno per un minuto: Valdés, Reina e Raúl Albiol. Due anni più tardi, nelle rose delle due squadre finaliste, il numero dei giocatori mai impiegati è notevolmente accresciuto: Sirigu, De Sanctis, Ogbonna e Borini per l’Italia, Valdés, Reina, Raúl Albiol, Juanfran, Mata e Llorente per la Spagna. La loro inestimabile fortuna: poter dire “Io c’ero”, poter raccontare ai nipoti di aver fatto parte della comitiva giunta sino alla finale di Kiev, comunque vada a finire. Il loro piccolo fardello: non aver contribuito alla causa. Zero minuti di adrenalina pura, zero palloni toccati, condannati al limbo della panchina, non battezzati dal campo da gioco.

I PORTIERI – Chi è quasi scontato che si sieda a bordo campo dall’inizio alla fine sono i “dodicesimi”, gli estremi difensori. La particolarità del ruolo, non solo a livello di Nazionali ma anche e soprattutto a livello di club, comporta che i “secondi portieri” facciano il callo alle esclusioni. Lo saprà bene Víctor Valdés, capace di vincere 5 campionati spagnoli, 3 Champions League, 5 Supercoppe di Spagna, 2 Supecoppe europee, 2 Mondiali per club e 2 Coppe del Re con il Barcellona, ma sempre oscurato in Nazionale – anche per tutta la durata del Mondiale vinto nel 2010 – da uno dei portieri più forti di tutti i tempi: il rivale madridista Iker Casillas. Chissà che Del Bosque, allenatore che lo ha fatto esordire in Nazionale, non rimpianga un discreto pararigori come Valdés (8 in carriera, su 47) in caso di tiri dal dischetto nella finale con l’Italia. L’altra vittima della “generazione Casillas” è Pepe Reina, portiere del Liverpool campione d’Europa (2008) e del mondo (2010) forte di una sola presenza complessiva.

Lo stesso discorso vale per gli Azzurri: con Buffon ad alti livelli, agli altri restano le briciole. Peruzzi e Amelia nel trionfale 2006, Sirigu e De Sanctis oggi: mentre il portiere del Napoli non avrà presumibilmente altre occasioni, il 25enne del Paris Saint Germain ha un futuro davanti per indossare i guantoni che in soli 4 anni sono passati dal sigillare la porta della Cremonese in C1, a parare in palcoscenici internazionali.

METÀ GIARDINO E METÀ GALERA – Il numero 4 sulla divisa azzurra è rimasto coperto dalla pettorina, da Danzica a Varsavia. Appartiene ad Angelo Ogbonna, difensore 24enne del Torino, che grazie al proprio talento ha battuto la concorrenza dei pari ruolo della massima serie. Il giocatore, genitori nigeriani, è infatti uno dei pochissimi italiani nella storia a meritarsi una convocazione in Nazionale pur militando in Serie B. Tralasciando milanisti e juventini alle prese con le rispettive retrocessioni, i precedenti sono solo 12: da Raffaele Costantino del Bari (1929/30) al romanista Arcadio Venturi (1951/52), da Silvio Piola ai tempi del Novara (1947) al laziale Giorgio Chinaglia (1972). L’altro escluso di Euro 2012 è quello che Carlo Ancelotti ha paragonato a Filippo Inzaghi: Fabio Borini, attaccante classe ’91 della Roma. Cresciuto calcisticamente in Inghilterra (tra i Blues del Chelsea e i cigni dello Swansea), quest’anno si è consacrato anche in Italia. La sua giovane età, la concorrenza nel ruolo, l’exploit forse un po’ troppo recente, fanno sì che per Prandelli non sia una scelta scomoda – anche se totalmente comprensibile – lasciarlo in panchina. Come per Ogbonna, il tempo riserverà altre occasioni per godere delle sue doti sportive. E come per Ogbonna, le cifre del suo mercato sono schizzate alle stelle in brevissimo tempo.

A LO HECHO, PECHO – Quel che è fatto, è fatto. Lo staranno pensando gli iberici di riserva: ciò che è stato fatto fino ad ora, è ormai scritto nei tabellini ufficiali della Uefa. Ciò che deve ancora essere fatto, non è altro che un’ulteriore opportunità. C’è da giurarci: Fernando Llorente pagherebbe oro per gonfiare la rete anche in Nazionale. Durante l’anno lo ha fatto benissimo per i baschi dell’Athletic Bilbao, contribuendo alla bella favola senza lieto fine scritta da Marcelo Bielsa: 7 gol in Europa League, 5 in Copa del Rey e 17 in Liga non sono valsi più di due finali e un decimo posto in classifica. Al rey león manca solo un ruggito a questi Europei. Anche Juan Mata, con il suo Chelsea, ha raggiunto una finale: quella di Champions League, e l’ha pure vinta da titolare segnando persino due reti (una delle quali al San Paolo di Napoli). Eppure anche per lui, ottimo brevilineo in una squadra di brevilinei marziani, la Nazionale non offre spazio se non sul seggiolino della panchina. Che spreco, direbbe qualcuno. E non avrebbe nemmeno torto. Ma non è finita qui: all’appello dei mai utilizzati mancano il galactico Raúl Albiol e il colchonero Juanfran, che pagano un gap troppo alto dai titolari, nonostante la retroguardia spagnola sia forse il punto debole di una Roja a caccia del triplete internazionale.

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