Trasformare la simpatica lavagnetta di un bar in qualcosa di simile ad un tormentone è arte del marketing, così come diventare amici di Gianluigi Buffon per il proprio curioso nome. Insomma in quel di Moenchengladbach, Renania, di branding ne sanno tanto quanto di calcio, e di quest'ultimo parla il palmarès del Borussia. Al giorno d'oggi i bianco-nero-verdi sono ben distanti dai fasti degli anni '70 - l'ultimo trofeo risale al 1995 - ma sul rettangolo verde possono dire la loro, eccome se possono: tre volte in top four negli ultimi cinque anni e alcuni risultati di prestigio tra campionato e coppe.

La simpatica lavagna nel pub di Glasgow che ha iniziato il tormentone di "A German Team".

Questi risultati sono legati a doppio filo con quello slogan sopracitato che ha strappato sorrisi (e bigliettoni, intascati dalla società) a tifosi e non in tutto il mondo. Tre semplici parole: A German Team. Una squadra tedesca. Effettivamente Borussia Moenchengladbach non è un nome agevole da scrivere e da pronunciare, mentre quel nomignolo, oltre che essere più easy, rispecchia sufficientemente bene quella che dovrebbe la filosofia calcistica della squadra di André Schubert, con cui avrà a che fare la Fiorentina nei sedicesimi di Europa League.

Il principale tratto somatico tipico della terra teutonica è la ricerca di efficienza degli automatismi. O meglio, dovrebbe esserlo. Quel condizionale segna la spessa linea di demarcazione tra successo e insuccesso. Fino a qualche mese fa il Borussia fondava la propria tattica su un undici quasi sempre uguale, con dei titolarissimi ben stabiliti, ai quali raramente il tecnico Schubert rinunciava: un'intesa crescente gara dopo gara, radicata sull'intensità e sul possesso palla ragionato, sfruttando poi l'estro delle due finte punte Stindl e Raffael. La mancanza di un centravanti in grado di finalizzare ha però iniziato a rappresentare un freno a mano nel momento in cui gli automatismi di cui sopra sono andati scemando, causa una serie tremenda di infortuni e un necessario riadattamento dopo la cessione di Granit Xhaka all'Arsenal, perno del centrocampo e ingranaggio principe di tutti i meccanismi.

André Schubert (Fonte immagine: Getty Images via DFB.de)
André Schubert (Fonte immagine: Getty Images via DFB.de)

L'impressionante serie di risultati negativi conseguita in Bundesliga quest'anno (sette gare senza conoscere i tre punti) ha mosso ulteriori dubbi sulle decisioni del tecnico, che ha sì un alibi di ferro, ma altrettante responsabilità nella ricerca dell'equilibrio, attualmente estremizzato: tantissima fisicità dietro, tanta tecnica davanti. La Fiorentina potrebbe sfruttare questa peculiarità imponendo il proprio tasso tecnico e il possesso palla, schiacciando il Borussia nella propria metà campo, ma stando attenta a non concedere spazi per il contropiede, arma che Thorgan Hazard, per citarne uno, sa sfruttare alla grande per pungere.

Il grande enigma al momento sta però nel capire che tipo di squadra i Viola si troveranno davanti tra due mesi, calcisticamente parlando un'eternità. Schubert è sulla graticola al momento e non è certo che arrivi a Natale (decisive sembrerebbero essere le prossime due uscite contro Augsburg e Wolfsburg). Il tecnico avrà inoltre tre settimane a gennaio per pensare come ridisegnare la propria squadra, recuperando possibilmente qualche elemento chiave per riorganizzare e ritrovare quegli automatismi che tanto sono mancati e tanto dolore potrebbero addurre alla truppa di Paulo Sousa.

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Giorgio Dusi
Vivo a Bergamo, scrivo di calcio, in particolare di Juventus e Arsenal, e di basket tra NBA ed Eurolega. Giornalista. Laureando. Forse. [email protected]