Il dado è tratto. La bomba è stata sganciata in un clima sempre più rovente ogni minuto che passa. Gianluigi Donnarumma, verde promessa del Milan, ha annunciato di non voler rinnovare il proprio contratto con i rossoneri. Un terremoto che non coglie di sorpresa ambiente e società, visto che la questione tiene banco da tempo, ma nessuno pensava davvero potesse concludersi in questo modo. Sono tante le variabili in causa, altrettante le reazioni (contraddittorie e contrastanti) scaturite all'interno dell'ambiente rossonero. Il polverone si è alzato anche (e soprattutto) intorno alla figura di Mino Raiola, artefice del trasferimento di Pogba e sempre più re del mercato del nuovo millennio. 

Il ragazzo avrà inevitabilmente maturato questa scelta ponderandola per tempo, vista la delicatezza della sua posizione e il suo significato per un popolo intero. Non bisogna, tuttavia, soffermarsi esclusivamente sul punto di vista "romantico", "patriottico" e "battagliero", perché il "povero Gigio" passerebbe per un mercenario che, all'età di 18 anni, inevitabilmente non può rappresentare. Il problema, dunque, va analizzato a fondo. Un calciatore, che alla sua età calciatore non è, è libero di scegliere, nonostante la mentalità comune tenda ad associare i propri beniamini con chissà quali valori umani. Ci piace raccontare storie indimenticabili. Ci piace udire le gesta di bandiere non replicabili, capaci di anteporre la famosa maglia alla gloria personale. Ma in fondo, caricare un calciatore di ideali e valori quasi divini, appare una sfida persa in partenza e semplicemente incoerente.

Incoerente perché il mondo del calcio ci fa schifo, odiamo coloro che "semplicemente prendendo a calci un pallone" portano in tasca tutto quel denaro. Al tempo stesso però, amiamo pensare che il calciatore sia una figura mistica, capace di legarsi ad un ideale fuori dal tempo e dallo spazio. Un calciatore non è un tifoso, anche se i due sono parti indissolubili della stessa, sporca medaglia. E allora, senza voler giustificare nessuno, ecco che le spalle di Gigio diventano più leggere, nonostante il suo sia ancora registrato come un atto di tradimento puro. La colpa non può essere del ragazzo, nonostante la sua giovane età potesse rappresentare un saldo legame ad una fede, vissuta ancora da piccolo tifoso. D'altronde, è quello il sogno di ogni appassionato: vedere un bambino crescere con i propri colori addosso, invecchiando e appassendo con loro.

Il lato romantico dello sport è il condimento perfetto di ogni disciplina. Ci emoziona, ci fa gioire, ci fa emozionare. E' bello pensare che un filo conduttore di passione e speranza leghi le diverse epoche sportive, al netto di guadagni e capitali economici. Il caso Donnarumma non è il primo né sarà l'ultimo, perché lo sport sceglie con cura le sue bandiere e la storia di "Gigio" sarebbe stata troppo bella per essere vera. Il tifoso milanista ha assaporato l'abbraccio con quel ragazzone campano, coccolato e cresciuto ai piedi della Curva Sud. Si erano già innalzati i paragoni, ma il romanticismo, forse, non appartiene ad uno sport spietato come il calcio. Limitarsi, tuttavia, a criticare un giovane campione e la sua controparte legale, risulterebbe un atteggiamento bigotto, con il quale (per l'ennesima volta) si appesantirebbero solamente le spalle di un giovane calciatore. Probabilmente ha sbagliato il modo, sicuramente ha sbagliato i tempi. Non ha sbagliato il gesto, perché il bacio ad una maglia ha da tempo perso il suo valore simbolico. Eppure, dietro la vicenda Donnarumma, c'è forse la crisi di un mondo così come siamo abituati a conoscerlo. L'ennesima, nostra certezza, è caduta come foglie in periodo autunnale. E' caduta lasciando un vuoto, spezzando il sogno che il nome davanti la maglia fosse più importante di quello celato sul retro. Donnarumma è lo specchio di un modello educativo che va in frantumi, che si sgretola sotto i piedi di chi fosse abituato a pensare che il calcio abbia necessariamente un lato romantico. La bandiera, il capitano, il semper fidelis, sono creature leggendarie, merce rara e forse eccessivamente apostrofata, che hanno (involontariamente) contribuito all'edificazione di falsi miti, in cui il semplice tifoso è quasi tenuto a riconoscersi. 

Se Donnarumma dovesse andar via come sembra, in casa Milan si troverà un sostituto. E' questa la frase più ovvia, ma anche la più banale e scontata che si possa proferire. Il tifoso del Milan ha patito addii peggiori, ma una storia, ancora tutta da scrivere, è stata infranta e questo non ha assolutamente prezzo. Di chi è la colpa di questo tradimento? Di Raiola? Che ha svolto i propri interessi e semplicemente dato voce alla volontà del ragazzo? Di Donnarumma? Che, dopo due stagioni di sofferenze, si ritiene pronto a compiere quel grande passo che il Milan non è in grado di accompagnare? 

Bisogna guardare in faccia la realtà, nonostante possa apparire come la più gotica delle creature. L'addio di Donnarumma non è una pillola facile da digerire, ma come tale basterà un semplice bicchiere d'acqua. Non c'è niente di cinico, spietato o anti-romantico nel comprendere lucidamente da che parte va il mondo. Non serve maledire un ragazzo come tanti, né declassarlo a "mercenario" e "traditore". La vicenda Donnarumma mette la pietra tombale su un modello educativo che non ha mai funzionato. Sancendo la fine di un calcio che non era, non è, e probabilmente non sarà mai.