Bella intervista di Arrigo SacchiLa Gazzetta dello Sport. L'ex tecnico del Milan, partendo da un'analisi dell'attuale momento nel nostro calcio, ha poi parlato delle due corazzate Napoli e Juventus: "Premessa doverosa e necessaria - ha detto - adesso basta parole, questo è il momento giusto per cambiare. A patto, ovviamente, di voler invertire la rotta. Il commissariamento della Federcalcio è un’opportunità che va colta al volo, c’è la possibilità di disegnare un progetto, di mettere gli uomini giusti al posto giusto, di rendere concrete le idee. Naturalmente, però, non si deve sottostare alle solite “camarille” italiane, altrimenti di che cosa stiamo parlando?". Continua, Sacchi: "Si deve mettere il pallone al centro del campo”.

Un concetto tanto semplice quanto difficile da attualizzare: "L'Italia, dopo anni di oscurantismo calcistico, ha il dovere di darsi uno stile. Di gioco, prima di tutto. Ma anche culturale. Sarà mai possibile che da noi il calcio sia ridotto soltanto al verbo “vincere”. D’accordo, la vittoria è importante, però una vittoria senza merito che cosa vale? Nulla. Si deve raggiungere il traguardo attraverso valori come il coraggio, l’armonia, la bellezza. Altrimenti i successi resteranno isolati, non si moltiplicheranno, saranno sempre momenti singoli e non parte di una storia". 

Per l'ex tecnico del Milan, bisogna dunque riprendere il passato per guardare al futuro con maggiore speranza: "Innanzitutto va compreso un concetto. Al peggio non c’è mai fine. Se noi pensiamo di aver toccato il fondo con la mancata qualificazione al Mondiale, siamo sulla strada sbagliata. Vanno capiti gli errori, perché se non si capiscono ci si ricasca facilmente. Il calcio italiano è lo specchio della società, inutile girarci tanto attorno. Siamo un popolo di furbi, di gente che fa della tattica anche quando va a fare la spesa. Ma, senza strategia, la tattica non è nulla. Noi facciamo un calcio difensivo da sempre, d’altronde l’ultima guerra d’attacco l’abbiamo combattuta quando c’erano i Romani. Potrà mai essere strategico, mi domando, lasciare il pallone agli avversari come fanno la maggior parte delle nostre squadre?".

Sempre parlando di Nazionale, Sacchi teme un calcio sempre più simile alla politica: "Mi sembra che ultimamente il calcio abbia imitato la politica: vedo molti inciuci. Si bada all’immagine. Io, nel 2010, sono stato chiamato dalla Federcalcio, dopo il disastro del Mondiale sudafricano, per dirigere le nazionali giovanili. Con me sono stati nominati Rivera e Baggio, con ruoli diversi che non ho mai compreso. Io ho detto: “Vengo, ma sappiate che io lavoro”. Ultimamente, ad esempio, mi ha dato fastidio, e non poco, questa storia del casting per il commissario tecnico. C’è una lista di nomi, si valutano, si sfoglia la margherita. Ma come? Stiamo parlando di bravi professionisti, con anni di mestiere sulle spalle. Si tratta di scegliere: se voglio fare un calcio difensivo, vado su questo elemento; se voglio un calcio propositivo, mi indirizzo su quest’altro allenatore; se voglio un calcio prevalentemente tattico, opto per quest’altra soluzione. Non c’è bisogno di fare il casting, si deve avere un’idea chiara in testa e poi perseguirla e attuarla".

E, su cosa serva per ripartire, Sacchi non ha dubbi: "La prima: le Academies. Tutti i club professionisti devono creare le “accademie” e dare i giocatori per 16-18 ore la settimana agli istruttori federali. Ecco il primo passo. Il secondo gradino: la Federcalcio deve creare dei formatori attraverso il Supercorso di Coverciano. Terzo punto: ci deve essere un protocollo di lavoro comune a tutti i settori giovanili, come esiste in Germania dove, dopo il 2000, si sono dati una mossa e sono tornati grandi. Quarto passo, decisivo: la creazione di centri federali dove i giovani possano formarsi e, di conseguenza, migliorare. Il tutto, sia ben chiaro, con un’idea forte: il pallone dev’essere sempre al centro del progetto".

In seguito, passaggio importante sulla Juventus e sul Napoli: "Io, quando soffro, sto male e non mi diverto. Non so voi, ma a me capita così. Ho sempre desiderato, con le mie squadre, essere padrone del campo e del gioco. Quando consigliai a Berlusconi di prendere Sarri gli dissi: “E’ venuto a San Siro e con l’Empoli ha dominato. Con l’Empoli, mi sono spiegato?”. Il suo Napoli mi diverte, mi affascina. La Juventus? La Juve è straordinaria per carattere, per forza fisica, per determinazione. E anche per la storia e per la cultura che appartengono a quel club da più di un secolo. Contro il Tottenham hanno fatto un capolavoro, e in Champions possono andare avanti parecchio. Considero Allegri un maestro che ha elevato il tatticismo al massimo livello. Bravo, però si è dimenticato della bellezza, dell’armonia, della musica che deve suonare una squadra di calcio" conclude Sacchi.