Un Europeo encomiabile, che ha consentio all'Italia di Paolo Vanoli di portare a casa un risultato - il secondo posto - quasi del tutto inaspettato. Gli azzurri, dopo la batosta rimediata ad opera della Francia, si leccano le ferite, ma provano in ogni caso a guardare il bicchiere mezzo pieno, sentendosi pienamente soddisfatti del risultato finale ottenuto in terra di Germania. Negli occhi resteranno le prodezze balistiche di Dimarco e Locatelli, ma tra le pieghe dei successi e del risultato restano alcuni problemi storici del nostro movimento. Se, come spesso accade quando si parla di calcio in Italia, organizzazione difensiva e tatticismo estremo ci hanno consentito di arrivare fino all'atto conclusivo della kermesse, c'è però da sottolineare, e continua a fare da contraltare da tempo oramai, una scarsa qualità individuale dei nostri prodotti. 

La finalissima contro i pari età della Francia ha acuito le differenze tra i due modi di vedere ed intendere il calcio, oltre a marcare la disparità tecnica tra le due squadre in campo. Da una parte i tratti caratteristici di una nazionale, la nostra, sono sempre gli stessi, dall'altra si vede palesemente la sfrontatezza di ragazzi che a diciannove anni sono già protagonisti con le rispettive prime squadre, ed oltre a possedere un bagaglio di esperienza già marcato, sono tecnicamente di un altro livello rispetto a quanto dimostrato dagli azzurrini. Da Jean-Kévin Augustin (Psg, 97) - miglior giocatore della competizione - a Ludovic Blas (Guingamp, 97), passando per Kylian Mbappé Lottin (Monaco, 98): i tre protagonisti della Francia hanno tutti più di dieci presenze con i rispettivi club in Ligue 1 - e un gol a testa -, che permette loro di affrontare le sfide contro i pari età avendo già il callo ed il passo del calcio che conta. 

Numeri impietosi se si prova a fare il paragone con quelle che sono le presenze degli Azzurrini nella massima serie. C'è altresì da constatare l'annosa difficoltà dei nostri diciottenni ad affermarsi nelle squadre di Serie B e di Lega Pro, magari costrette così come nei rispettivi vivai, a fare i conti con il Dio risultato piuttosto che guardare alla formazione tecnica e caratteriale dei ragazzi, fornendo loro una visibilità maggiore già dagli anni precedenti. Non solo: anche tatticamente c'è bisogno di uno step di crescita, con la versione di questa Italia Under 19 che durante tutto il torneo ha guardato solo ed esclusivamente all'equilibrio tra i reparti, sperando in qualche invenzione o qualche lampo offensivo, ma sempre di rimessa in ripartenza. 

L'Italia potrà anche sfornare giovani talenti in erba come i vari Meret, Dimarco, Locatelli e tanti altri che si sono messi in mostra durante la manifestazione tedesca, ma se non si avrà mai il coraggio di farli confrontare con i senior in pianta stabile in prima squadra, la crescita del calcio nostrano resterà sempre limitato. I risultati delle nostre nazionali, da quelle minori a quelle maggiori, sarà sempre lo specchio di un movimento vincolato quasi indissolublimente al tatticismo estremo ed all'organizzazione difensiva, che se non dovesse riuscire a guardare oltre al proprio naso difficilmente potrà competere in futuro con le potenze del calcio mondiale.