Sta vivendo un periodo d'oro, due settimane fa il debutto in Under 21, due giorni dopo la prima doppietta con la maglia azzurra e domenica scorsa il primo gol in Serie A in Bologna – Cagliari: Federico Di Francesco è il golden boy del momento. In questa settimana il ventiduenne si è tolto la scomoda etichetta di “figlio di” mostrando a tutti chi è Federico, ovvero un grande talento che già si era messo in mostra nella serie cadetta lo scorso anno con il Lanciano e che finalmente ha trovato il giusto spazio tra i “grandi”, ma quanto è stata dura arrivare dov'è ora? Tanto. “Essere figlio di un calciatore, da bambino, ti costringe a girare con un’etichetta addosso. Chi non ti conosce pensa solo che sei “il figlio di”, quindi ho sempre dovuto dimostrare qualcosa in più. Da piccolo lo accusavo di più, adesso invece è una cosa che mi stimola. È un orgoglio avere un padre così”.

Non è un caso che la dedica dei gol fatti con la nazionale di Gigi Di Biagio sia andata a chi non ha mai creduto in lui: “Quelle persone hanno contribuito a rendermi il ragazzo che sono oggi, forte dei valori che mi ha insegnato la mia famiglia. E parlo del ragazzo, non del calciatore. Perché voglio crescere e migliorare ogni giorno di più”. Di maestri il giovane Di Francesco ne ha avuti tanti, ma due allenatori sono stati i più importanti per la sua carriera: Marco Giampaolo e Nino di Benedetto. “A Nino devo molto, era il mio allenatore negli Allievi del River Chieti, il trampolino di lancio per andare alle giovanili del Pescara. Giampaolo l'ho incontrato in Lega Pro ai tempi della Cremonese, non so cosa ci facesse un allenatore così importante nella terza serie, ma incontrarlo è stata una fortuna. Prima che arrivasse giocavo poco, lui mi mise subito dentro alla prima partita, feci gol e da lì iniziai a diventare un titolare. Come persona e come allenatore, Giampaolo per me è stato un grande maestro”. La svolta lo scorso anno, al Lanciano in Serie B: “Anche lì ho faticato all’inizio, poi tra squadra e staff si è creato qualcosa di straordinario. Una grande mano me l’ha data Mammarella: in quei mesi è stato come un fratello maggiore”.

Oltre agli allenatori c'era anche il papà a dare consigli: “Mi diceva sempre: “Pensa a divertirti”. Sembra ieri che ho iniziato a giocare, ora sono in A e credo che anche per papà sia una grande gioia, come lo è per me vederlo allenare e fare cose straordinarie. L’orgoglio è reciproco, anche se tendiamo a farci pochi complimenti l’un l’altro. In realtà, scherzando, ci siamo sempre punzecchiati un po’. Forse questo “criticarci” ha aiutato entrambi”. Il modello da seguire scelto da Federico però non è il papà, bensì un suo coetaneo: Domenico Berardi. “Per l’età che ha e per quello che ha fatto in questi anni, direi che è un giocatore straordinario. Uno che riesce sempre ad essere determinante per la squadra. Spero di poterci giocare in Under 21, ma questo dipende solo da me. Se farò bene a Bologna, tutto verrà di conseguenza”. Insomma, the game is on.