Siamo ad aprile. Nel bel mezzo della settimana che porta al derby contro il Palermo al “Massimino”, un comunicato scarno ed essenziale ma pienamente esaustivo interrompe i fiumi d’inchiostro e suona come una conferma della politica di mercato e della filosofia organizzativa del Calcio Catania nell’era Pulvirenti: guardare in avanti, dandosi spinta con la forza delle idee e giocando d’anticipo sulle concorrenti. Con Sergio Gasparin ancora amministratore delegato, e la mediazione decisiva di quello che un mese e mezzo più avanti diventerà vice-presidente rossazzurro, Pablo Cosentino, il club di via Magenta si assicurava a partire dalla prossima annata il diritto alle prestazioni di Sebastian Eduardo Leto.

Per coloro che seguono assiduamente la disciplina nelle sue vetrine in Italia e all’estero, si tratta di un nome che non richiede presentazioni. Centrocampista argentino nato il 30 agosto di 27 anni fa ad Alejandro Korn, sobborgo a 45 km da Buenos Aires, si afferma in patria con il Lanus prima di conquistarsi l’attenzione del Liverpool di Rafa Benitez, che gli apre le porte dell’Europa nell’estate 2007. Per problemi burocratici, il ragazzo non arriva mai a giocare in Premier League, disputando solo quattro gare tra Champions League e Coppa di Lega, poi una stagione in prestito all’Olympiakos prima del trasferimento definitivo in Grecia, ma al Panathinaikos. Qui Leto vive una serie di stagioni in crescendo, nell’annata 2011-12 a gennaio i suoi gol sono già 15 in altrettante gare, ma un grave infortunio al ginocchio e i successivi problemi fisici fanno sì che proprio in quel periodo abbia disputato la sua ultima gara ufficiale. Nel gennaio di quest’anno, ad un anno esatto dall’inizio del calvario, la rescissione consensuale con i verdi.

I risultati sportivi raggiunti dal “Liotro” nelle ultime stagioni hanno imposto all’attenzione dei media, degli addetti ai lavori e degli intenditori di calcio su scala nazionale i colori di cui si riveste e le individualità di maggior spicco che lo trascinano sul campo, ma soprattutto l’equilibrio e la ponderatezza a cui è improntata ogni sorta di decisione o misura dirigenziale. Ponderatezza che si riversa anche sulla gestione e sul miglioramento dell’organico: nella seconda componente ha un peso rilevante il vigile monitoraggio, entro i confini nazionali ma soprattutto all’estero, sulle opportunità di mercato che si presentano.

Maxi Lopez, Suazo, Almiron, Legrottaglie. Questi sono solo alcuni nomi tra le operazioni di mercato condotte negli anni senza particolari pretese o come scommesse, ma in ogni caso con importanti margini di riuscita. Si tratta di transazioni che a breve o lungo termine hanno avuto i loro frutti, meno che in qualche occasione, come nel caso di Suazo, prelevato a parametro zero nell’estate del 2011 con la speranza di riportarlo quantomeno in parte ai livelli di Cagliari ma ormai logoro a livello di tenuta fisica.

L’ingaggio di Leto va a collocarsi in questa cerchia, che raggruppa diversi affari in base non tanto al criterio economico, quanto all’intento di capitalizzare l’esperienza e lo spessore tecnico di quei giocatori mettendoli nelle condizioni di rimettersi a lucido in una dimensione che per loro può risultare ideale. Se Legrottaglie ha sempre tenuto ottimi standard fino alla chiusura del legame contrattuale con il Milan, per motivi vari Maxi Lopez e Almiron avevano conosciuto periodi meno esaltanti. Catania punta sull’uomo, quindi anche sulla sua professionalità e sulla voglia di riemergere, non certo sul curriculum e sui suoi ricordi, per rilanciarlo e sua volta farsi dare una spinta nel lanciarsi a velocità sempre più sostenuta verso i piani alti del calcio nazionale, oltrechè affondare radici solide nel campionato più difficile del mondo, dove è facile perdere l’equilibrio e precipitare nel burrone dell’anonimato.

Proprio per questo l’operazione Leto non sarà l’unico movimento in entrata di quest’anno e da sola non caratterizzerà l’intero mercato, in quanto la società, come in occasione del silenzioso flop del rumeno Dica, organizzerà l’organico e il progetto tecnico senza dargli la prevalenza assoluta rispetto alle altre pedine in gioco. Tuttavia, se il giocatore riuscirà con sudore, olio di gomito e tanta determinazione a mettere definitivamente alle spalle i problemi al ginocchio e riacquisire una condizione accettabile, ecco che si aprirebbe per lui una sequenza di sfide: prima di queste, ritrovare i livelli toccati al Panathinaikos, mentre la seconda, ancora più dura, sarà mostrare la propria consistenza in un torneo ovviamente più difficile rispetto a quello greco. Il lavoro di fisioterapia all’Isokinetic di Bologna, che sarà seguito da quello nella calura estiva di Torre del Grifo, darà in futuro le sue prime risposte, ma se Leto riuscisse a ritrovare il ritmo giusto almeno sul piano mentale dopo 16 mesi di inattività il Catania potrebbe ritrovarsi in casa una risorsa preziosissima, connessa alla sua completezza fisica e tecnica e alla duttilità tattica.

Di ruolo Leto è un centrocampista, più precisamente una mezzala sinistra, ma la parabola al Panathinaikos lo ha visto affermarsi non solo per i numeri messi a referto ma anche per una poliedricità e una naturalezza nell’interpretare i vari ruoli sempre più sorprendenti. La forza fisica, il controllo di palla, l’abilità nel dribbling e l’ottima tecnica di tiro ne hanno favorito con successo l’adattamento alle posizioni di esterno sinistro e, soprattutto, di riferimento centrale in attacco. Immediato lanciarsi in aspettative circa la sua collocazione ideale nel 4-3-3 o nel 4-2-3-1, dove potrebbe coprire rispettivamente tre e due posizioni, ma in particolare il suo status di un vice-Bergessio all’altezza in situazioni di emergenza, figura di cui si è avvertita l’esigenza in alcune occasioni quest’anno.

Fino alle prime sedute di allenamento e soprattutto alle prime partite, la sua integrazione con il gruppo e con gli schemi di Maran sarà un’incognita, come oggettivamente lo è adesso il contributo che può realmente dare alla causa a livello di prestazioni e numeri. Non esiste scelta di nessun tipo, dal lato sia della società che della dirigenza, che non comporti margine di rischio, ma una certezza è assodata e indiscutibile: al di là della congiuntura economica difficile e dei rapporti tra i fatturati dei club italiani e quelli esteri, nella buona conduzione di una squadra di calcio, che sia bramosa di vittorie o improntata al realismo (caso che calza a pennello con il Catania, il cui obiettivo primario nella prossima stagione sarà senza ombra di dubbio la salvezza) la floridità economica non conta più di quella delle idee.