Dopo la campagna abbonamenti, la presentazione delle nuove maglie. Il Calcio Catania non si gode sotto l’ombrellone della Playa una tra le migliori stagioni a livello di numeri e risultati della propria storia, nonché probabilmente la più esaltante per percorso intrapreso e tasso tecnico della squadra, ma prepara già a 360° la stagione 2013-14.

L’ottavo posto messo a referto un mese fa rappresenta per molti addetti ai lavori un boom che andrà confermato, ma in via Magenta la parola d’ordine quanto all’obiettivo primario è una e una sola: salvezza. A pronunciarla a più riprese, sin dalla conferenza stampa tenuta dopo il pareggio interno col Cagliari dello scorso aprile, accolto da molti con amarezza perché significava la fine dei sogni europei, il primo tifoso del club etneo: Antonino Pulvirenti.

Potevamo indicarlo con la sua posizione in società, quella di presidente, ma la locuzione “primo tifoso”, molto spesso cucita addosso appunto a chi guida una squadra, è decisamente congrua alla sua figura e al suo contributo per la causa prima ancora che al suo modo di manifestarlo.

Doveroso sgombrare il campo da ogni affermazione che rimandi all’immagine di un imprenditore tutto cuore e che investa senza tenere presente l’aspetto del tornaconto personale a livello economico e di prestigio, pretesa utopica in una disciplina pervasa da fattori emozionali e affettivi ma basata sempre e comunque sulla logica del business.

Del resto, il presidente di una società di calcio è di solito il suo “primo tifoso” avendone a cuore le sorti innanzitutto per le conseguenze sul portafoglio, sulla propria credibilità e popolarità, e in molti casi ci si ferma a questo paletto. Una squadra è però anche una creatura da curare e far crescere giorno dopo giorno, minuto per minuto, e da accompagnare sempre, spesso stringendola idealmente mano nella mano, tanto nei suoi momenti più gratificanti quanto nelle prove più difficili. Lungi dal passare in rassegna i comportamenti dei vari presidenti in Italia e mettere eventualmente in discussione i loro modi di gestire i rispettivi club, ma pochi sanno “andare oltre” come Pulvirenti.

I risultati conseguiti e il livello raggiunto oggi dal Catania è il frutto del lavoro di decine di persone tra giocatori, dirigenti, staff tecnico, collaboratori di ogni tipo; qualcuno ha dato un contributo marginale, a qualcun altro si devono progressi importanti, ma dietro il cammino di una struttura che punta ancora a progredire scongiurando ogni rischio di cadere giù vi è anche la costante opera di indirizzamento, saggia e puntuale, di chi sta al suo vertice.

Nella giungla di un campionato dominato da sette “giganti” per forza tecnica, fatturato e tradizione, chi è più piccolo deve sapersi destreggiare non solo con l’ambizione e i mezzi materiali sufficienti, ma anche la prontezza delle idee, il massimo attaccamento e l’unità d’intenti. A livello fonetico sembrano concetti scontati, ma non lo sono altrettanto nella realtà concreta.

Tutto si riassume nel fatto di esserci. Esserci seguendo le partite casalinghe da bordo campo con la giacca della tuta sociale, con la partecipazione tipica di un tifoso della curva (emblematico il post-gara di Catania-Chievo, lo drammatico spareggio-salvezza dell’ultima giornata nel 2007 a Bologna, quando le telecamere lo inquadrarono mentre saltellava gioiosamente sul prato dopo la vittoria finale). Esserci predicando e applicando in campo e fuori l’equilibrio della propria politica societaria interna e di quella rivolta all’esterno, ma non mandandole a dire quando percepisce un’ingiustizia ai danni della sua squadra, quindi anche suoi. Esserci ridisegnando di suo pugno, secondo i modi che ritiene più giusti e con l’ottica del migliorarsi, l’organigramma societario, rinunciando perfino ad una risorsa managerialmente e umanamente di non poco conto come Gasparin. E infine, esserci pure volendo immettere qualche sua idea nel design delle nuove maglie. A ragione o a torto, ma esserci.