Secco, compatto, quadrato, ruvido ma concreto. Come un buon vino trentino che si rispetti, Rolando Maran ricalca i tratti dominanti della sua terra (anche se il suo vino preferito è Veneto) anche nel suo lavoro. Chiamato ad ottobre a prendere il posto e fare le veci di Eugenio Corini sulla panchina del Chievo, il natio di Trento ha stupito tutti per organizzazione di gioco e soprattutto risultati. Non un bel gioco, non quello degli esteti del calcio, tutto passaggi, verticalizzazioni e champagne. No, niente affatto. Maran ha puntato tutto sulla praticità, sulla compattezza e sull'equilibrio della squadra, mai sbilanciata, mai un giocatore fuori posizione.

Risultato? Salvezza quasi raggiunta. 28 punti in 21 partite di campionato. Dopo un inizio difficile la salita, lenta, faticosa, ma anche per questo più bella una volta raggiunta la cima. 32 punti, a più undici dalla zona che significa abisso, da Cagliari e Cesena. 8 punti nelle ultime quattro gare che hanno dato ai clivensi un soffio di ottimismo e soprattutto di tranquillità, dopo qualche sconfitta di troppo, anche immeritata.

Il segreto? "Il mio 4-4-2 è qualcosa di coraggioso: siamo la squadra che dopo la Juve recupera più palloni nella metà campo avversaria. Possesso palla e pressing alto sono le nostre caratteristiche, forse perché da giocatore non potevo farlo". Tuttavia la scaramanzia, comune a tutti gli allenatori, non lo fa rilassare affatto, anzi: "Non siamo ancora salvi: mancano dieci giornate, meglio non scherzare anche se siamo a più 11 sulla terz’ultima. Sapevo quando sono arrivato che sarebbe servita un’impresa e l’impresa la stiamo facendo".

In un periodo dove nel calcio sembra contare il curriculum prima delle persone e del modo do lavorare, Maran analizza, in maniera brillante, l'importanza della gavetta nel ruolo di un allenatore, che serve a fare le ossa e maturare esperienze che persino il campo non possono darti: "Conta moltissimo, è una palestra preziosa, gli errori servono per crescere in modo graduale e fare un passo alla volta alleggerendo le responsabilità. Non ho mai capito il guardiolismo, la moda di fare tutto in fretta".

Maran, oltre ad essere un bravo allenatore, sembra essere diventato, nel corso degli anni una sorta di talismano. Sia da calciatore che da allenatore vanta un numero esclusivo di retrocessioni: zero. La spiegazione oltre che ultraterrena sembra essere nel segreto del lavoro, nell'etica di quest'ultimo, oltre ad una dose di fortuna che aiuta, ma non sempre è dalla parte degli audaci. L'allenatore del Chievo ha analizzato le tappe della sua carriera, per sommi capi, guardando anche a quegli esoneri che l'han fatto storcere il naso: "Da difensore mi piaceva impostare l'azione, pensare. Il classico allenatore in campo, tanto che Baldini mi diceva sempre che il mio posto sarebbe stato in panchina. Mi ha insegnato molto. Io sottovalutato? Diciamo che se ho raggiunto la A tardi, vuol dire che l’ho meritata solo ora. Oppure non riesco a vendermi bene. Retrocessioni? Si vede che porto fortuna. L'esonero di Brescia (dopo una vittoria e aver conquistato margine sui playout) fa parte del calcio: si vive di momenti e a pagare son sempre gli allenatori".