Deve essere una sorta di criptonite naturale il catino del Luigi Ferraris per il Napoli targato Maurizio Sarri. Così come Superman si inginocchia al potere del meteorite, così gli azzurri ogni qual volta varcano la soglia dello stadio della parte rossoblù della Lanterna si smarriscono, irretiti da una delle squadre che più riesce a mettere in difficoltà la tela partenopea, efficace e brillante nel novantacinque percento dei casi, sterile e macchinosa contro il Grifone. Eppure, a bocce ferme, il rammarico per altri due punti persi sul cammino affiora, tra il nervosismo del post partita inevitabile e le recriminazioni sempre crescenti per qualcosa che stavolta non è andato per il verso giusto. 

Stenta, arranca, il Napoli contro la marcatura a uomo del Genoa, che sulla falsariga dei dettami gasperiniani si dispone a uomo a tutto campo, creando duelli faccia a faccia con i diretti rivali, sfidandoli sull'intensità, sulla grinta. Mossa azzeccata, con gli ospiti che non riescono a prendere le contromisure giuste, in difficoltà a centrocampo e sulla trequarti più che nelle altre zone di campo. Qualche sbocco, raro, lo fornirebbero le ali, ma sia Mertens che Callejon vivono la loro prima serata negativa dell'anno. Sbiaditi, inconcludenti, stranamente poco lucidi: sarà la stanchezza, sarà altro, ma è un dato di fatto. Lo stesso dato innegabile che è però dato dalla bellezza delle idee sarriane, che anche nelle avversità tattiche consentono ad Hamsik, a Milik e a rotazione ad altri interpreti di presentarsi dalle parti di Perin con costanza, seppur a fatica. Manca la precisione, manca il guizzo. 

Il Genoa di contro fa una partita saggia, di sacrificio, di volontà. Juric sfrutta quando in possesso palla la velocità dei suoi esterni, con Laxalt sulla sinistra - soprattutto nella ripresa - e Lazovic dalla parte opposta nel primo tempo che spesso trovano il modo di pungere il fianco dei campani. E' Reina, a lungo criticato in questo inizio di stagione, che salva capra e cavoli in un paio di occasioni, prima di esaltarsi nel finale per due volte sul figlio del Cholo Simeone. Inevitabile, quando il Napoli ha perso equilibrio e si è sfilacciato, che i padroni di casa abbiano trovato le giuste misure per presentarsi all'appuntamento con il bersaglio grossissimo. Inesorabilmente, però, la saracinesca partenopea ha deciso di abbassare la serranda nel momento giusto, confermando un giusto pareggio in fin dei conti.

Nel mezzo, prima di giungere all'epilogo di una serata confusionaria nel complesso per i viaggiatori, le tantissime mezze occasioni che il Genoa ha concesso per errori di distrazione ed approssimazione nella gestione del possesso palla. Il famelico e cinico Napoli che insegue in classifica nelle retrovie ha però fatto spazio ieri sera a quello impaurito e meno presuntuoso che vive di una sorta di sindrome da vetta: il piede trema, ripetutamente, nelle occasioni degne di tal nota. Callejon si intestardisce, Hamsik litiga con la kabala, con la maledizione del centesimo gol, con il terreno di Marassi e con una mira non propria, Insigne si perde ancora una volta nell'atto del Nirvana, Milik - infine - cerca di togliersi la camicia di forza che Burdisso e Orban gli stringono attorno alle spalle. Già, proprio cosi. 

Così come un anno fa accadde con Higuain, in un altro 0-0 sempre di Marassi, sempre contro il Genoa, stavolta è Milik - degno erede che segue le orme del predecessore in tutto e per tutto - ad essere atterrato ad un passo da Perin. Le sviste, così come l'astinenza da rigori per i partenopei, sono all'ordine del giorno. Non basta, perché ci sarebbe dell'altro anche ad inizio gara, con il pallavolistico bagher di Ocampos non sanzionato, episodio che concorre all'Oscar per il premio come attore protagonista nel film della gara assieme alle svariate imprecisioni dei napoletani. Coincidenze. Un deja vu che per un motivo o per un altro si ripropone sempre nello stesso teatro. Uno dei pochi che riesce a mettere a freno l'impeto e l'ira di Maurizio Sarri, che va ben oltre un effimero primato perso alla quinta giornata di campionato.