Si era già fatto notare ad inizio anno, quando (quasi) tutti lo conoscevano come figlio d'arte di un allenatore due volte finalista in Champions League, e di conseguenza era arrivato il soprannome di Cholito. Però a lui non stava bene, voleva essere sè stesso, non un erede. Carattere forte, ma anche umiltà e voglia di imparare: tuttavia, le attenzioni principali si sono destate quando sono arrivati i gol, principalmente quelli decisivi nel match contro la Juventus, non una squadra qualunque. Insomma da riserva di Pavoletti a ragazzino che non fa sentire la mancanza del centravanti infortunato: stiamo parlando, e l'avrete capito, di Giovanni Simeone.

E la prima punta del Genoa in un'intervista alla Gazzetta dello Sport, si è raccontata, partendo dalla definizione di predestinato che spesso gli viene affibbiata. Il calciatore, però, crede in altri valori oltre il talento: "Il primo insegnamento di papà è sempre stato questo: ‘Lo sforzo nel calcio è l’unica cosa che non si può negoziare’. Siamo cresciuti così, l’unico scopo è crescere pensando alla partita che verrà. Bello, perché sai che il futuro dipende solo da te. Brutto, perché non riesci a goderti a lungo le gioie. Dopo i gol alla Juve, ero già lì a pensare alla gara successiva. E poi c’è un discorso ambientale". Il riferimento è, ovviamente, alla presenza di ben 6 argentini nella rosa genoana: "Qui non sento nostalgia di casa. Con Munoz, Burdisso, Gentiletti, Orban e Ocampos c’è un appuntamento fisso ogni due settimane. Se il tempo lo permette, cuciniamo l’asado sulla parrilla. Per me che qui vivo da solo è come trascorrere del tempo in famiglia. E poi guardate come si comportano gli italiani: le loro movenze, il modo di parlare. Se cucinaste l’asado, potrebbero scambiarvi per argentini. Siete identici e più simili a noi degli spagnoli".

La convivenza con un cognome così pesante non è un problema, e anzi il confronto con l'esperienza del padre è formativo: "Sono un Simeone da quando sono nato, ma papà non è mai stato una presenza ingombrante nella mia vita. Ci siamo sempre confrontati e ascoltati. Io so che, non solo nel calcio, lui è un interlocutore fantastico. Oggi, poi, che vive a Madrid e io a Genova, lo sento ancora più vicino. Ci parliamo spesso, mi consiglia. Una delle storie più divertenti che mi ripete riguarda la sua prima esperienza in Italia da giocatore (nel 1990, ndr). Partì da Buenos Aires in inverno, con la sciarpa e gli abiti pesanti, sbarcando a Pisa in piena estate… Oggi, comunque, mi sento spesso anche con la mamma ed i miei fratelli".

Chi è peggio fra Papà e l'allenatore Juric? Il Cholito non ha dubbi: "Sono uguali, stessa intensità e determinazione. Hanno la garra, come diciamo in Argentina, gli artigli. Il mister mi piace: il primo difensore è l’attaccante, la pensiamo allo stesso modo".

A proposito del padre, per chiudere, l'accostamento all'Inter inizia a dare fastidio: "Una storia che è stata strumentalizzata. Papà è felice all’Atletico, l’Inter ha già un tecnico bravissimo come Pioli".