La storia dell'Inter, negli ultimi anni, è stata spesso caratterizzata da avvenimenti ricorrenti, che il medio-tifoso interista ha imparato pienamente a riconoscere. Le sconfitte contro le piccole (Crotone, ma anche Novara, Palermo e chi più ne ha più ne metta), la capacità di mancare sempre e comunque gli avvenimenti che contano, l'impossibilità di individuare il giusto colpevole nei momenti negativi, l'impressione di dover sempre e comunque ricominciare da capo. 

Breve storia triste di quella che pareva iniziata come l'ennesima stagione da buttare a prescindere, complice l'inspiegabile cambio di guida tecnica a due settimane dall'inizio delle ostilità. De Boer come Gasperini, Pioli come Leonardo, Mancini come Mazzarri e i suoi soci. Tanti profili, tante personalità, tutte passate per il vortice di Appiano, che ha finito per logorare mente e corpo di allenatori più o meno prestigiosi, portati all'esasperazione da un ambiente (tecnico e dirigenziale) indecifrabile. Ripartire le colpe, in modo equo, è follia pura ed ecco che il mister diventa l'unico capro espiatorio in grado di accollarsi gli errori di gestione di una società che, nonostante gli avvicendamenti in poltrona, continua a ricadere negli stessi tranelli. 

Sono tre i principali punti della questione: allenatore, giocatori e dirigenza.

Partiamo dal principio. Fatte poche eccezioni, chiunque si sia seduto sulla panchina nerazzurra, dopo l'uscita di scena di Mourinho, ha avuto due momenti ricorrenti nell'arco sua avventura. Uno di esaltazione, per essere ufficiosamente riusciti a far tornare l'Inter ciò che meriterebbe di essere, un altro di crollo totale sotto tutti i punti di vista. Mentale, gestionale, relazionale e tecnico. Il mondo Inter, ci perdoni Zamparini, si è trasformato in un vero e proprio mangia-allenatori. I tecnici sono forse quelli con meno colpe, in tutta questa tragicommedia. I tecnici sono delle pedine più o meno importanti, ma prontamente sfruttate come imputati nel momento in cui la stagione appare segnata. L'emblema di questa analisi è certamente la stagione in corso, dove i cambi continui di gestione tecnica hanno finito per destabilizzare l'ambiente, condizionare i risultati ma probabilmente sono anche serviti per "coprire" gli errori commessi dalla società. Ma questo è un aspetto che tratteremo fra poco. Torniamo a concentrarci sugli allenatori, reali vittime di questo gioco infernale. Mancini aveva accettato inconsapevolmente la sfida credendo di poter destare un ambiente lobotomizzato dai risultati negativi. Lui ha riportato vittorie e un briciolo di serenità, salvo poi 'dare di matto' nel momento in cui si è reso conto di non avere più pieni poteri, semplicemente perché il suo ruolo non era quello di manager all'inglese, ma neanche quello di allenatore di provincia. La sconfitta, per sei a zero, in amichevole estiva contro il Tottenham ha mostrato tutta l'insofferenza del buon Roberto, che in alcune interviste continua davvero a credere che la sua potesse essere la strada giusta per riportare l'Inter in alto. Come Mazzarri, che aveva resuscitato Ricky Alvarez. Come Gasperini, che aveva provato ad introdurre la difesa a tre prima che diventasse il cavallo di battaglia della Juve ammazza-campionato. Come Benitez, che voleva introdurre il tiki-taka e puntare sui giovani. De Boer è solamente l'ultimo di una lista infinita. L'olandese è stato buttato nella mischia probabilmente da un ramo della dirigenza che non è reperibile nei momenti negativi. Il cambio con Pioli aveva dato una flebile speranza, la speranza di non aver sbagliato tutto, la speranza di non dover ricominciare da capo. Le parole del tecnico in conferenza, nel post Crotone, sono cariche di amarezza ma anche di fiducia, dopo essere passato (nell'arco di un mese!) dalla speranza Champions al baratro senza neppure l'Europa League. Con De Boer era successo tutto più in fretta, dall'Hapoel Beer-Sheva alla vittoria con la Juve e ritorno. La sconfitta con la Samp (come per Pioli, occhio) ha sancito un addio inevitabile. Quale sarà la prossima vittima del mattatoio?

Foto: Inter.it
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Salendo più su, nella disperata ricerca di spiegazioni per l'ennesima ricaduta di "interite", ci imbattiamo negli uffici dirigenziali. Qui sarebbe opportuna un'analisi dettagliata di tutte le parti in causa, per cercare di attribuire una parvenza di responsabilità. L'avvicendamento Moratti-Thohir-Suning ha cambiato i volti ma non i risultati, tanto meno le dinamiche d'azione che, soprattutto nelle fasi di transizione da una gestione all'altra, si fanno caotiche e confusionarie, risultando determinanti sul campo in termini di scelte di mercato. Piero Ausilio è forse il simbolo di una gestione attuale ancora priva di carattere, apparentemente sulla buona strada ma ancora incapace di sedersi a tavolino e programmare. L'impatto di Suning è stato fortissimo, con due acquisti clamorosi in periodo di carestia dovuta al Ffp. Il marchio cinese è finito sotto i riflettori per un inverno intero, minacciando rivoluzioni tecniche e gestionali epocali in estate. Effettivamente i cinesi stanno provando a portare novità soprattutto da un punto di vista economico-finanziario (che è quello che a loro interessa). Basti pensare alla promozione del marchio Inter nel mondo e alle nuove sponsorizzazioni brillantemente conseguite. Tuttavia, nonostante i numerosi buoni propositi, il tifoso dell'Inter merita spiegazioni. Il tifoso dell'Inter era abituato a veder spendere sangue e soldi al suo presidente Massimo Moratti, uno che quasi amava metterci la faccia in ogni contesto. Non che quella di Piero Ausilio sia meno appariscente, ma di certo il carattere mostrato dalle due personalità è nettamente diverso. Diverso anche perché, bontà sua, il Ds nerazzurro è ancora costretto a svolgere compiti non di sua competenza, e magari nelle scelte di mercato viene tagliato fuori in maniera inspiegabile. Nota dolente, per l'appunto, la sessione estiva dei trasferimenti. Premesso che si trattava di una nuova, l'ennesima, fase di transizione, premesso che Mancini aveva dato forfait e De Boer non sia stato scelto da Suning in prima persona, ci sono stati evidenti errori che si sono ripercossi sulla stagione ancora in corso. In primis la scelta del mister, ma questo è un tema che abbiamo già abbondantemente toccato, in seguito l'acquisto di Gabigol. Il brasiliano, le cui doti tecniche sono probabilmente indiscutibili, ha visto il campo col contagocce ed è sembrato più un colpo di carattere mediatico che una reale necessità. Magari l'Italia intera sta prendendo un grosso abbaglio e questo ragazzo avrà un futuro assicurato, stile Coutinho per intenderci, ma per adesso ci sentiamo di dire che all'Inter poteva e doveva servire altro. Detto questo, la parziale gestione errata del mercato estivo, in corresponsabilità con Kia Joorabchian e Thohir (che continua ad avere un ruolo sempre più marginale nella vicenda), è stata mitigata dall'oculata scelta di Stefano Pioli per la panchina. Come abbiamo già detto, il tecnico parmigiano stava quasi riuscendo nel miracolo prima del fisiologico calo delle ultime due partite, che sembrano aver alzato l'ennesimo lembo di una coperta troppo corta. Detto ciò, Suning e la sua potenza economica sono forse l'unica nota lieta di questo semestre, contraddistinto dagli errori più che dalle scelte azzeccate. Programmare, sedersi a tavolino e programmare, prendersi un caffè e programmare. Dev'essere questo l'imperativo della nuova società che, in attesa di capire se voglia adoperare un restyling gestionale completo o parziale, dovrà in primo luogo investire saggiamente per spezzare il terribile circolo vizioso in cui è caduta la storica squadra di Milano.

Foto: Inter.it
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Detto delle responsabilità dirigenziali, detto della situazione allenatore, arriviamo infine alla nota dolente: i giocatori. La partita di ieri, a Crotone, ha evidenziato non tanto i limiti tecnici o tattici, poiché la squadra dopo i due gol subiti ha avuto una reazione, quanto le evidenti carenze di personalità. Personalità o pigrizia? Dipende da che lato si guarda la medaglia. Fatto sta che il comportamento di alcuni, Perisic e Brozovic su tutti, appare incomprensibile e molto spesso irritante per una squadra costruita (in termini di investimenti economici) per competere almeno per il terzo posto. Ritrovarsi inspiegabilmente settimi, dopo una grande e miracolosa risalita invernale, attribuendo tutte le colpe a società e allenatore non convince del tutto. Non convince soprattutto i tifosi che, nonostante la precaria situazione generale, continuano a dar prova della loro vicinanza e fiducia nel nuovo progetto. Un progetto che tuttavia pare dimenticarsi, a tratti, di un presente senza idee. L'ambiente interista si sta quasi rassegnando all'idea che la prossima stagione sarà quella buona, che il prossimo mercato riporterà i nuovi Milito e Thiago Motta. Le qualità tecniche ci sono, ma c'erano anche nella passata stagione. E allora dove sono i problemi? Sono sopiti, sono intrinsechi, sono apparentemente invisibili. Perché il talento è stato anche mixato e amalgamato correttamente, nel corso delle varie gestioni tecniche, ma i difetti di personalità, carattere e atteggiamento non possono essere plasmati dal nulla. Servirebbe un allenatore psicologo-motivatore-interprete-sociologo, per avere una panoramica chiara sul come agire e su quali corde toccare. Ovviamente in accordo con una società che non ha ancora fatto intendere, in modo chiaro, la sua linea di gestione in merito al rapporto con la dimensione tecnica.

Servirebbe un politico, più che un allenatore, per gestire le dinamiche interne allo spogliatoio e alla società Inter. Servirebbe uno scrittore, per raccontare ogni singolo minuto di questa tragedia secolare che non sembra avere fine. Potrebbe servire un tifoso, per stimolare davvero gli undici in campo a dare tutto. Servirebbero dei bambini, per far capire a chi va in campo cosa significa essere delusi e amareggiati dai propri idoli. Per comprendere e analizzare tutto ciò basta essere lucidamente razionali, per farsene una ragione e avere sempre una speranza, si può essere solo tremendamente interisti.