Il gol che consente alla Roma di battere il Napoli è un pregevole esempio di tecnica. Pjanic addomestica di petto, Maicon appoggia per Salah, l'egiziano saltella, spostando la palla da un piede all'altro, prima di servire Nainggolan, il cui piatto morbido spinge la palla tra il palo e la mano protesa di Reina. Succede tutto al tramonto di un lunedì pomeriggio qualunque. Per la Serie A è l'ultimo capitolo, perché lo stop partenopeo garantisce alla Juventus titolo e storia. Il Napoli - a tre giornate dalla fine - non può chiudere il buco dalla Signora, deve anzi reprimere chi insegue da dietro. 

Una vittoria d'azzardo, nel senso più positivo del termine. Una vittoria che premia coraggio e azione, scelte e tempestività. Un'estate di riflessione e addii. Quando un ciclo trova il suo punto più alto, occorre sfogliare la margherita dei ricordi, senza cedere alla tentazione. Uno schiaffo doloroso, ma necessario. Privarsi contemporaneamente di Pirlo, Vidal e Tevez è esempio di lungimiranza, ora. Follia, prima. Un agosto ricco di interrogativi, ripartire senza testa e anima. Testa, Andrea Pirlo, il sapiente regista, la tecnica applicata al calcio, un fine trequartista rivestito da pilota di una fuoriserie. Il giocoliere dal passo cadenzato, un profilo di tranquillità, un'oasi nei momenti difficili, palla a Pirlo, per ripulire il gioco, dare respiro, sbocco, alla manovra. 

Vidal e Tevez, l'anima. Quella grinta sudamericana, quel modo di intendere il calcio come lotta e sacrificio. Qui la tecnica non è la componente superiore, ma è al servizio di una feroce interpretazione agonisitica. Vincere sempre, vincere in ogni modo. 

Per Tevez la chiamata di casa, per Vidal l'approdo in Bundesliga, per Pirlo l'avventura di fine carriera. Per la Juventus, la ricostruzione. Un punto fermo, Allegri, sempre pacato, nel replicare alle critiche, nell'accettare e condividere le mosse societarie. 

Un nuovo uomo simbolo, Pogba, vecchi leader a cui affidare un compito delicato, l'inserimento delle scommesse di mercato. Buffon, Evra, senatori pronti ad alzare la voce. 

Dentro Dybala - folletto al Palermo e re a Torino - dentro Mandzukic - ariete, vero, attaccante dai gol pesanti e dal cuore infinito - dentro Khedira, il rischio. Infortuni in serie a placarne la continuità, potenziale non in discussione. Qualche rintocco di freschezza, Rugani e Lemina. 

Un inizio difficile, malasorte e naturale ambientamento. La vetta lontana, la necessità di procedere tappa dopo tappa, senza porre un traguardo stabilito, senza eccedere in arroganza o umiltà. Lenta risalita, i pugni sul tavolo all'interno dello spogliatoio, una sveglia per compattare il gruppo, per unire pensieri all'apparenza slegati. 

Poi il filotto, la progressione da titolo, una macchia soltanto, minuti di rabbia a Monaco, una caduta d'Europa, figlia di disattenzione e energie al lumicino. Rimpianti, spazzati via dal ritorno della massima serie. Un dolce cuscino in cui adagiare una superiorità schiacciante. La Juve guarda alle sue spalle e non scorge minacce, non è una questione di mercato, non solo. Spicca una componente che esula dalle doti di campo. Vincere non è per tutti, vincere è materia di pochi. Saper vincere, questo distingue i primi e i secondi, questo distingue la Juve, abituata a farlo, da chi arriva, stanco, al momento più importante.