Il Matusa, al Napoli, deve portare proprio bene: tre vittorie in altrettante uscite in terra ciociara nell'era De Laurentiis, che hanno segnato e scandito i passi della rinascita azzurra, trascinandola dai bassifondi della C1 al 'Purgatorio' della B, fino alla tanta agognata Serie A. Stavolta, a Frosinone, si giocava per la massima serie, per il massimo obiettivo: svoltare davanti a tutto il campionato alla fine del girone d'andata. Tutt'altro che facile, però, alla vigilia, imporsi dopo le cadute di Fiorentina, Roma ed Inter in rigoroso ordine cronologico. Detto, fatto: con la stessa personalità, presunzione positiva e idee di gioco che hanno caratterizzato il percorso dei partenopei in questa prima fase stagionale. 

Una macchina da guerra la compagine di Sarri, che rischia di 'barcellonizzarsi' a furia di triangolazioni veloci e tocchi esclusivamente di prima: nella gara di ieri, l'85% dei passaggi della squadra ospite sono avvenuti di prima intenzione. Frutto di sintonia, di fiducia, di capacità tecniche e mentali finalmente esaltate da un modulo che permette ai protagonisti di essere eccellenti attori in ogni zona del campo. Via così all'ennesima manita, all'ennesima vittoria (18 delle ultime 22), ad una serie di record che continua ad essere battuto ed asfaltato: 41 i punti con i quali la squadra vira al giro di boa (uno in meno rispetto al primo anno di Benitez), 63 gol fatti stagionali e tanto, tantissimo altro. 

La trasferta di Frosinone ha poco da raccontare, complice una squadra di casa fin troppo arrendevole fin dai primi minuti di gioco. L'undici di Stellone si rintana nella propria area di rigore, negli ultimi 40 metri in un fazzoletto di campo, nella speranza che la densità di popolazione nella trequarti difensiva possa irretire i partenopei. Invece, Jorginho ed Higuain, Hamsik e Mertens, collezionano occasioni a raffica e passano alla terza occasione con Albiol, da calcio d'angolo. La 'scatola' dei ciociari si apre, mettendo a nudo tutte le difficoltà e l'incapacità tecnica di fermare le avanzate degli avversari: imbabolati sia i centrocampisti centrali ed i due centrali, lasciati alla mercé delle folate del duo "H&H". Prima il rigore conquistato, poi il poker: il Pipita è indemoniato e fa 18 in campionato. 

Il sigillo sulla vittoria, sulla manita e sul primato è di Gabbiadini, che si sfoga dopo l'ennesima magia dal limite dell'area. Il Napoli è primo e corona quello che quattro o cinque mesi fa era soltanto un sogno: all'ombra del Vesuvio il risveglio è dolce come mai, anzi, come soltanto tre volte prima nella storia. Dall'epoca di Maradona, dove nell'87, 88 e nel 90 per ben tre volte in quattro anni gli azzurri si laurearono campioni d'inverno, mai era successo che il Napoli festeggiasse questo titolo, meritato quanto tuttavia effimero. Traguardo intermedio, certo, che però smaschera definitivamente le velleità e gli obiettivi di una squadra, scaramanzia e non. 

E' la vittoria di Sarri, bistrattato ovunque è andato in avvio, osannato ed amato ovunque ha lasciato il segno, con le sue immense caratteristiche: qualità, umiltà e lavoro. Dalla gavetta alla vetta, con tutti i meriti del caso. Ci è abituato, Sarri, che guarda tutti dall'alto verso il basso nonostante tre partite di handicap all'avvio: senza dimenticare chi, dopo Sassuolo, Sampdoria ed Empoli, con un punto su nove conseguiti, chiedeva già la sua testa (e non erano pochi). E' la vittoria, seppur momentanea, di Higuain, riscattatosi definitivamente dopo una stagione con più bassi che alti, tornato trascinatore e leader, non solo tecnico, ma anche emotivo, di una squadra che continua a viaggiare a gonfie vele in ongi dove. 

Davanti al Napoli, adesso, il definitivo banco di prova che potrebbe far prendere definitiva consapevolezza agli azzurri di poter lottare per il colpo grosso. Gli esami, del resto, non finiscono mai. Adesso tocca a Sassuolo, Sampdoria ed Empoli, il trittico che ha rallentanto Sarri all'avvio per consacrarsi grande e scacciare via le vertigini: battere il Sassuolo, soprattutto dopo la sconfitta di Bologna, testimonierebbe un salto di qualità non da poco. Dieci partite tra le mura amiche che, con un degno filotto, potrebbero consacrare gli azzurri in lotta per il vertice. Tra una maturità da conseguire e la voglia di continuare a sognare, gli azzurri devono trovare la forza di non pensare a festeggiare un traguardo che può essere solo una tappa intermedia in un cammino di soddisfazioni.