Otto anni dopo, cambia la musica di contorno, quella che fa tremare la terra al termine dell'inno della Champions al San Paolo, ma non quella che nella sostanza vede il Napoli prevalere, con merito e rinnovato cinismo, ancora una volta sul Benfica. Successo meno brillante del solito, leggermente bugiardo nel punteggio finale, che rende merito ai partenopei di aver saputo sfruttare le poche occasioni avute tra i piedi. Un primo tempo equilibrato, un secondo squarciato da due accelerazioni che hanno fatto vacillare la non impeccabile linea difensiva dei portoghesi. Tre punti che hanno il sapore, seppur per il momento sotto forma di retrogusto lontano, di qualificazione e di primo posto, per il quale la strada è ancora lunga e ricca di insidie. 

Procediamo con ordine, perché non è tutto rose e fiori nella serata splendida del San Paolo, inaugurata dal ritorno di quel boato, di quel coro di voci, che irretisce gli avversari e sorprende persino i padroni di casa, quelli che non c'erano nelle due precedenti versioni. La scarica di adrenalina del pubblico amico sembra sortire gli effetti sperato dopo appena quindici secondi, quando il tracciante di Ghoulam incontra la corsa di Milik. Un pizzico di frenesia, condiziona la giocata del polacco, colto forse impreparato dallo svarione della coppia Lindelof-Lopez. Il buongiorno, inteso come possibilità di far male ad una retroguardia quasi mai compatta ed unita, si vede dagli albori di una gara che sembra in discesa per i partenopei, ma che invece conferma tutte le insidie della vigilia di lì a poco.

I portoghesi di Rui Vitoria manovrano con diligenza ed efficacia in mediana, mandando spesso a vuoto la pressione del Napoli che, per stessa ammissione di Sarri a fine gara, fatica oltremodo a recuperare la palla. I primi gol di serata li mettono paradossalmente a segno Hysaj e Reina, che murano in due occasioni Mitroglu, al quale l'urlo del vantaggio si strozza in gola. Passata la nottata, come direbbe Eduardo, il Napoli è bravo ad approfittare dell'unica occasione che ha nei primi venti minuti per sbloccare l'incontro: Hamsik incontra il fendente mancino di Ghoulam, con Julio Cesar che cade goffamente come un pesce catturato nella rete, sorpreso dalla deviazione della cresta del capitano. La gara entra nei binari giusti, gli azzurri controllano e, nonostante l'infortunio occorso ad Albiol, con Maksimovic che esordisce nel momento peggiore possibile, subiscono molto meno le iniziative ospiti. Il giro palla torna fruttifero ed arioso, anche se di occasioni da rete, nitide, non ce ne sono. 

Con personalità e maturità da grande squadra, il Napoli torna in campo con l'intenzione di archiviare la sfida il prima possibile. Due lampi, due fulmini a ciel sereno, squarciano in due la gara, così come le resistenze del Benfica. Mertens ed Hamsik brekkano nel mezzo, tagliando come una lama rovente un panello di burro la difesa di Rui Vitoria: nella prima occasione il belga si procaccia e trasforma la punizione, qualche secondo più tardi è Callejon a sfruttare il movimento dello slovacco - ed una deviazione della difesa su conclusione di Allan - per beffare un poco reattivo Julio Cesar e consegnare a Milik il rigore del tris. Non pago del cospicuo vantaggio, Sarri sprona i suoi a non alzare il piede dall'acceleratore, ed il poker è servito, tra lo stupore ed il delirio del pubblico festante. 

Cinico e spietato il Napoli, nel momento del maggiore bisogno, nel quale la grande bellezza del gioco partenopeo lascia il posto alle difficoltà di affrontare un'avversaria che contrariamente a quanto avviene in campionato attacca, con costrutto, qualità ed idee, l'assetto difensivo dei padroni di casa. Evitabile, ma quasi fisiologico, il calo mentale, prima ancora che fisico, del finale. L'estrema fiducia di Jorginho, così come la rilassatezza di Ghoulam nel non seguire con applicazione e diligenza il taglio di Salvio, fanno infuriare Sarri in panchina, furente con i suoi per le clamorose disattenzioni. Peccato di gola, un eccesso di zelo che non permette a fondo ai partenopei di godersi un successo meritato quanto emblematico per la crescita esponenziale del gruppo stesso. 

Il messaggio finale è comunque forte e chiaro, e riecheggia nei cieli europei come quell'urlo che da troppo tempo mancava a Fuorigrotta. Il Napoli c'è, con pienissimi meriti. Dimostrare di poter valere questa competizione non era esame facile, ma che questo Napoli sembra aver passato con il massimo dei voti. Adesso testa all'Atalanta e, successivamente, ad una pausa che arriva nel momento giusto, che non spezza il ritmo nelle gambe degli azzurri ma che contribuirà a ricaricare le pile - ed anche recuperare qualche infortunato - in vista del secondo ciclo di ferro. Prosit, Napoli.