Francesco Totti è il calcio. Francesco Totti è la Roma e la Roma non è altro che la regina di cuori del numero 10. Da ventitrè anni il ‘Pupone’ incanta in lungo e in largo, in casa e fuori, con la maglia dei giallorossi. L’amore che lo lega ad una città tanto grande quanto esigente non è per comuni mortali: chi non è romanista, non comprenderà mai appieno l’essenza di Francesco Totti. Decine di allenatori sono passati sotto la sua ‘giurisdizione’, termine molto forte ma necessario per rendere l’idea.

Non l’ha mai tradita, Francesco, la sua città e la sua maglia, che con tanta passione protegge dalle mille critiche. Non l’ha mai tradita, neppure quando Palloni D’Oro e trofei di squadra lo seducevano a gran voce. Non l’ha mai tradita, quella maglia, perché se l’è cucita addosso, ed è troppo importante per preferirle una coppa. Centinaia di calciatori, giovani e meno giovani, sono passati sotto l’occhio vigile di Francesco, che non ha mai criticato nessuno perché non ne aveva il tempo. Era troppo impegnato a disegnare parabole dolcissime col suo destro, facendo stropicciare gli occhi a professionisti affermati.

Dire che Totti è un calciatore italiano è semplicemente una metafora (per eccesso) per dire che Totti è un calciatore di Roma. Non ‘della Roma’, ma ‘di Roma’. A buon intenditor poche parole. Perfino la maglia azzurra (sogno proibito di tutti i ragazzini) ha provato a sedurlo, ma era troppo stretta per Francesco. Dopo 25 stagioni consecutive, dopo un Mondiale vinto e 250 gol, siamo ancora qui a parlare di un maestro di questo sport, che ha intrecciato la sua vita ad una passione infinita. Un sentimento difficile da descrivere, come un amore proibito. La passione è legata, a doppio filo, con la sua gente e nella sua gente si manifesta in tutta la sua grandezza. Un esplosione di talento che ha scelto di soggiogare un’intera città. Come un imperatore, più di un re che avrebbe i poteri di un tiranno. Se Totti entra i tifosi cantano, se Totti non entra i tifosi non cantano (e talvolta fischiano). Equazione di primo grado, l’incognita è una sola: Roma ha bisogno di questo sovrano?

La ‘ragion di Stato’, incarnata nel 2016 dal ‘cupo’ Spalletti, è più o meno importante di una leggenda? Fino a quando Totti continuerà a giocare (e bene), la domanda resterà tale ma, come già accaduto in passato, una questione così spinosa non può essere accantonata con facilità. Chi accusa Roma di essere alla mercé di un singolo uomo, non ha capito cos’è Roma davvero. Perché un capitano non abbandona mai la sua nave, ma pretende una ciurma al suo servizio per solcare i mari e vincere battaglie. La Roma, di guerre, ne ha vinte a bizzeffe col suo capitano, ma molte sono le sconfitte da imputare ad una passione esagerata. La poca fiducia in quello che circonda il ‘divino’ Francesco stava per distruggere la neo-nata compagine dello Spalletti bis. Alla lunga il tecnico ha avuto ragione e la sua gestione del capitano è da considerarsi impeccabile.

Negli ultimi due anni, bui, sotto la guida di Garcia la questione Totti era all’ordine del giorno e ci si divertiva a scaricare la colpa dei vari fallimenti sulle spalle del numero dieci. Che ha dimostrato, ancora una volta, di avere spalle forti e personalità da vendere. Il vero limite di Roma (e della Roma) è, al tempo stesso, un punto di forza. Perché non è possibile considerare Totti un peso o uno scarto. D’altro canto, Spalletti è quasi ‘costretto’ a schierarlo (ora più che mai dopo le ultime prestazioni). Ma siamo così sicuri che la Roma abbia davvero bisogno di Totti? Oppure ha semplicemente bisogno che l’ambiente sposti il punto di focalizzazione dal Re di Roma alla Roma? Bella domanda.

La risposta non è né semplice né scontata. Non si possono comprendere i legami tra Totti e la sua gente in terza persona, ma una cosa è certa: attualmente, la Roma dipende da Totti e non viceversa. Il ‘dieci’ ha già dimostrato di preferire il calore dei tifosi ai riconoscimenti personali e non dovrà rendere conto a nessuno delle proprie scelte. La Roma, al contrario, è in eterno debito col suo capitano. Un deficit che probabilmente non verrà mai risanato, ma forse non ce n’è bisogno. C’è un prima e ci sarà (per quanto difficile da sopportare) un dopo Totti, e Roma dovrà farsene una ragione. Le vittorie dei giallorossi non erano e non saranno legate alla presenza del numero dieci, ma per certi versi una personalità così ingombrante può destabilizzare l’ambiente, sminuendo chi (tra i vari Nainggolan e Florenzi) lavora duramente ogni giorno restando nell’ombra.

Francesco Totti è unico nel suo genere, probabilmente andrebbe clonato, ma avere una città ai suoi piedi può comportare dei rischi che la Roma non ha intenzione di affrontare. Non si chiede a uno come lui di farsi da parte, lo sport ne ha ancora bisogno. Si chiede a uno come Totti di slegare la catena di ferro che lo lega tremendamente alla sua città. Ne beneficerebbero tutti e, probabilmente, si tornerebbe a cantare davvero, non soltanto alla corte di Re Francesco.