Doveva essere la serata del ricordo, del tributo agli Invincibili, la serata in cui il Toro tornava là, sul prato del Da Luz, dove Valentino Mazzola e compagni avevano messo in scena la loro ultima recita il 3 maggio del 1949 prima di concludere la loro esistenza terrena ed entrare nel mito. Doveva essere, e lo è stata, tutto è andato secondo le aspettative: uno stadio, la meravigliosa cattedrale di Lisbona, vestito a festa, due tifoserie unite, abbracciate, idealmente e non solo, con quello sguardo che, di tanto in tanto, si rivolgeva verso il cielo, verso chi non c'è più, una festa, quella organizzata da Benfica e Toro, perfettamente riuscita.

Mentre questa enorme carica emotiva che ha accompagnato il match valido per la Eusebio Cup era però facilmente preventivabile, molti dubbi in più, o per meglio dire molta curiosità, aleggiava intorno alla prestazione che il Toro di Mihajlovic avrebbe potuto offrire contro una compagine, il Benfica, di assoluto valore, campione del Portogallo in carica e pronta a partecipare al gran galà europeo della Champions League. Il calcio d'agosto va preso con le molle, figuriamoci quello di luglio: si può però tracciare un profilo delle indicazioni che Mihajlovic ha ricevuto da questa partita, a prescindere dal risultato finale, che ha visto i granata prevalere ai calci di rigore dopo l'1-1 dei tempi regolamentari.

La nota stonata della serata risponde al nome di Alfred Gomis: dopo l'erroraccio contro il Renate, il portiere che Mihajlovic ha designato come titolare si è ripetuto con il pasticcio che ha portato al vantaggio lusitano. Nessun allarme, l'italo-senegalese ha spalle larghe temprate da tre anni da titolare in serie B: l'impressione è che la maglia del Toro, casacca con la quale è cresciuto, possa pesare sulle sue spalle, ma il tempo è dalla sua parte e la fiducia del tecnico serbo non potrà che fargli bene. Al centro della difesa Maksimovic ha risposto alla grande alle frecciatine di Mihajlovic, che lo aveva definito "distratto dalle voci di mercato": prestazione sontuosa, quella del serbo, al netto di qualche imprecisione in fase di impostazione. Se riesce ad assestarsi su questi standard, le sirene di mercato non potranno che farsi sempre più insistenti. Bene anche l'eterno Moretti, destinato, mercato permettendo, a formare con Maksimovic la coppia titolare, qualche tentennamento in più per i terzini, Zappacosta e Molinaro, per i quali si può esprimere un giudizio unico: attenti in fase difensiva, meno brillanti in spinta e in impostazione. L'attenuante? Sono due giocatori che fanno della gamba e della corsa il punto di forza, hanno evidentemente bisogno di mettere altra benzina nel serbatoio. Esiguo lo spazio concesso a Bruno Peres, che ha però fatto in tempo a confermare quella che è l'opinione generale su di lui: delizioso per tecnica, tocco di palla e progressione, decisamente più carente in concentrazione e diligenza tattica in fase difensiva.

A centrocampo, l'indicazione che arriva da questo Benfica-Torino è quella di sempre: ai granata, lì in mezzo, serve più qualità. Vives è encomiabile per senso della posizione e sacrificio in copertura, ma manca di quel cambio di passo necessario ai granata per alzare la proverbiale asticella. Qualità che non può essere ricercata tra i piedi di Acquah e Obi, due faticatori, due mediani di rottura, cui non si può però richiedere qualcosa che non hanno nelle loro corde. Un miglioramento, in questo senso, si è visto con l'ingresso di Baselli, brillante nonostante i pochi allenamenti svolti negli ultimi giorni causa infortunio.

E in avanti? In avanti brilla la stella di Ljajic: magnifica la parabola su calcio di punizione che regala il pari al Toro, positiva nel complesso la sua prestazione, fatta di dribbling, accelerazioni e un'insospettabile propensione al sacrificio in fase difensiva. Sacrificio nel quale si è prodotto con profitto anche Iago Falque, meno brillante e più "imballato" del serbo in fase di possesso. E poi c'è Belotti che è il solito Belotti, un leone indomabile sempre pronto a fare a sportellate con i difensori ed attaccare con foga la profondità, quasi sempre con i tempi giusti. Positive anche le prove di Martinez, apparso cresciuto in freddezza e lucidità nel momento di scegliere la giocata, e Maxi Lopez, meno mobile del "Gallo" ma sempre in grado di creare cose interessanti con il pallone tra i piedi.

In generale, Mihajlovic può essere soddisfatto del Toro visto al Da Luz: una squadra propositiva (un aspetto per il quale Ventura, decisamente più attendista, fu duramente criticato), grintosa, che ha sempre provato a proporre le sue idee di gioco anche contro una squadra superiore, sulla carta e non solo, ed inoltre più avanti nella preparazione. Da migliorare la fase difensiva sui calci piazzati, pecca ereditata dalla scorsa stagione, e l'intesa nella tre quarti offensiva: Mihajlovic ha poco più di venti giorni per oliare i meccanismi e presentarsi nelle migliori condizioni ad un debutto di fuoco, quello che vedrà il suo Toro protagonista a San Siro contro il "suo" Milan. I lavori in corso, comunque, sembrano essere a buon punto.