C'era una volta Zemanlandia. Era la prima metà degli anni Novanta, e a Foggia Zdenek Zeman costruì un giocattolo straordinario, una squadra spettacolare capace di segnare valanghe di gol e di subirne altrettanti. I satanelli arrivarono alle porte dell'Europa offrendo un calcio spregiudicato, così divertente da guadagnarsi il soprannome "Zemanlandia": come un parco divertimenti.

Più di vent'anni dopo, Mihajlovic, qualche centinaio di chilometri più a nord, sta ricreando qualcosa di simile con il suo Torino, un Torino che dopo la vittoria per 4-1 a Palermo si ritrova al quarto posto in classifica con 17 reti segnate in otto gare: quello granata è il secondo miglior attacco del torneo, alla pari con i cugini bianconeri e dietro solamente alla Roma. Per contro c'è una retroguardia che subisce ancora troppo, non tanto a livello di numeri (9 reti subìte sono uno score comunque dignitoso) quanto a livello di occasioni: ieri solamente la serata no di Nestorovski ha permesso ai granata di incassare una sola rete, e situazioni analoghe si erano verificate nelle ultime due uscite con il giallorosso Dzeko e il viola Kalinic che avevano perdonato in più di un'occasione le amnesie della retroguardia del Toro.

Se la difesa ancora "balla", però, l'attacco funziona a meraviglia. Un arco, quello della fase offensiva granata, che ha a sua disposizione una quantità infinita di frecce. Il Toro sa attaccare centralmente con le verticalizzazioni di Valdifiori (per l'ex Napoli crescita costante), con gli inserimenti dei centrocampisti (letali Benassi e Baselli) oppure con la potenza di Belotti, preziosissimo nel suo lavoro sporco anche quando, come ieri sera al Barbera, non riesce a trovare la via della rete. Quando l'avversario intasa le vie centrali, invece, il Toro sa sfogare la propria spinta sugli esterni: con gli strappi di Iago Falque, con le sovrapposizioni e i cross di Barreca e Zappacosta, e, dulcis in fundo, con la cristallina classe di Ljajic. Il serbo merita menzione particolare: al ritorno dopo l'infortunio che lo ha tenuto lontano dal campo per un mese, il 10 granata ha dimostrato immediatamente di valere gli 8 milioni e mezzo spesi per lui da Cairo. L'ex Roma ha dispensato perle a ripetizione guidando il Toro alla rimonta proprio nella serata che i granata dedicavano ad un grande del passato, il compianto Gigi Meroni: Ljajic lo ha ricordato a modo suo, con finte, dribbling, e con due gol assolutamente meravigliosi. Insomma, la forza di questo Toro sta in un attacco dalle mille sfaccettature: i granata sanno far male in tutte le maniere. Emblematico, in questo, il dato delle ultime due gare, in cui il Torino ha trovato la vittoria nonostante il suo bomber Belotti sia rimasto a secco.

La forza di questo Toro, poi, sta nell'insaziabile fame del suo allenatore. "Dopo il 4-1 ci siamo rilassati e questo non deve succedere. Se si può fare il quinto, bisogna fare il quinto": una frase pronunciata da Sinisa Mihajlovic nel post partita di Palermo che potrebbe diventare il manifesto della mentalità del tecnico serbo e del suo Torino. Un Toro che non rinuncia mai ad aggredire e ad attaccare, anche a costo di prendersi qualche rischio in più in fase difensiva, un Toro che non conosce le marce basse, ma che sa andare solo ai cento all'ora. Come detto, però, i numeri scoppiettanti dell'attacco granata non devono distrarre dalle lacune che ancora ci sono: troppe distrazioni là dietro, troppe chance concesse agli avversari. E questo, Mihajlovic, lo sa bene: "Non abbiamo ancora fatto niente, dobbiamo rimanere umili, dobbiamo continuare a lavorare, ci sono cose da migliorare". Anche se una cosa è certa: finchè l'attacco girerà in questo modo, i tifosi sapranno perdonare anche qualche gol incassato in più.