Sarà rimasto deluso chi s’aspettava una gara pazza, di quelle condite da incidenti e Safety Car capaci di “shakerare” pronostici e valori in campo. Tutt’altro. Gli svarioni dei turni di prova, quando un po’ tutti i piloti hanno commesso (fisiologiche) sbavature nel tentativo di “acclimatarsi” alla nuova pista di Baku, non si sono ripetuti in gara. 

Specie nelle primissime fasi, smentendo le previsioni di chi, Marchionne incluso, pronosticava il caos tra gli stretti budelli del tracciato azero. Al contrario, abbiamo assistito al via più regolare della stagione, fase in cui nessuno dei protagonisti ha osato rischiare oltre il lecito ben sapendo che un banale “lungo” nelle prime curve avrebbe irrimediabilmente compromesso la propria gara. 

Eccezion fatta per Perez, infatti, abile a guadagnare due posizioni (dalla 7° alla 5°) sfilando Massa e Kvyat, nessuno ha potuto inventarsi granché e il serpentone delle vetture è filato via liscio a posizioni già sgranate: buon per la sicurezza e l’integrità dei piloti, meno per lo spettacolo, che - diciamolo - non ha vissuto momenti particolarmente frizzanti neanche per i restanti 50 giri di corsa.

Vettel non è riuscito a bissare il prodigioso scatto di Montreal ma, come sulle rive dell’Ontario, neanche stavolta prendere il comando sarebbe servito a stoppare una Mercedes formato “monstre”, ancor più superiore nelle prestazioni e nella gestione gomme rispetto a 7 giorni fa, quantomeno nelle mani di Rosberg. Il secondo posto, dopo libere da psicodramma, stavolta è dolce e consente a Seb di restare aggrappato ai giochi per il titolo, pur staccato di 45 punti dal connazionale della Stella.

Nico ha posto le basi del successo (coronato dal Grand Chelem) fin dal sabato, volando già dalla Q2 con quel super-crono di 1’42”5 che ha finito per mandare in tilt (e a muro!) l’unico rivale in grado di impensierirlo, Hamilton. Poi la pole d’ordinanza, e una gara da padrone in cui è riuscito a mantenersi freddo nell’unico momento che avrebbe potuto complicargli i piani, la partenza.

Tutt’altra storia per Hamilton che, a differenza del compagno, non ha mai trovato il giusto feeling con le curve di Baku. Pasticcione in qualifica, Lewis si è prodotto in una sfilza di errori in frenata inusuali per uno staccatore e specialista dei “cittadini” come lui, fino alla toccata a muro nella sezione del Castello che gli è costata il 10° posto in griglia e l’addio ai sogni di gloria. 

Il calvario è poi proseguito in corsa, tra vibrazioni al volante causate dagli spiattellamenti del sabato (le gomme usate in Q2 sono montate alla partenza per regolamento) e problemi di gestione elettronica del motore che l’inglese non riusciva a risolvere autonomamente, dando vita a concitati battibecchi col proprio muretto interdetto ad assisterlo: la perfetta istantanea di una F1 e di piloti sempre più computerizzati (sebbene Hamilton necessiti di qualche ripetizione…) e sempre meno “track-oriented”. E la dimostrazione che saper giostrare con manettini e procedure senza distrarsi dal pilotaggio è divenuta una “skill” imprescindibile del pilota moderno, capace di discriminare tra successo e fallimento.

Distrazione costata invece il podio a Raikkonen, reo di aver attraversato le strisce bianche che delimitano la corsia d’ingresso box con tutte e 4 le ruote mentre prendeva la scia di Ricciardo. 5” di penalità, da addizionare al tempo finale di gara, e addio al terzo posto, artigliato comunque già in pista, e con pieno merito, da un Perez superlativo nel rimediare all’unico errore del weekend, la toccata a muro in PL3 che ha portato alla sostituzione del cambio sulla sua Force India ed al conseguente arretramento dal 2° al 7° posto in griglia.

Bocciato, infine, il tracciato di Baku che, al di là dei comprensibili guai di gioventù, ha proposto il  solito layout “tilkiano” piatto, ancorché pericoloso, concepito più per esigenze televisive e di valorizzazione turistica che altro: l’artificioso passaggio del Castello, analogamente allo “stadio” del rinnovato autodromo messicano intitolato ai fratelli Rodriguez, ne è la prova. 

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