Erano le 8.40 dell’8 ottobre 2000 e a Suzuka, dopo 21 anni di sofferenza, la Ferrari conquistava finalmente il tanto agognato titolo iridato. A riportare la gioia a Maranello era stato il pilota, probabilmente, più forte di ogni tempo: Michael Schumacher. La storia d’amore tra il Kaiser tedesco e il team italiano non è facile come può sembrare, perché appena arrivato a Maranello, Schumacher si era trovato davanti una situazione non proprio rosea, a causa delle tante difficoltà della gestione sportiva. Quel titolo, per tutti, da Jean Todt a Luca di Montezemolo, sapeva di rivalsa nei confronti di coloro che avevano criticato la Ferrari in quegli anni. Dicevano che fosse in crisi, che i tecnici e i dirigenti non fossero all’altezza e anche dopo l’arrivo di Schumacher, arrivato come il Messia che avrebbe riportato in alto il Cavallino, c’erano state critiche, anche verso Schumi, verso i suoi ingegneri e verso lo stesso Jean Todt, che tanto aveva voluto il campione teutonico.


Dopo il primo anno di apprendistato, condito da 3 vittorie entusiasmanti, già il ’97 per la Ferrari e Schumacher era stato un anno di successi, che con un pizzico di fortuna e lucidità in più avrebbe portato anche al primo iride, ma alla fine Jacques Villeneuve si inserì tra Schumi e la gloria, scippandogli, in maniera onesta, il titolo. Appuntamento rimandato al ’98, prima, e al ’99, poi, ma tra vetture inferiori e sfortuna anche gli ultimi due anni del millennio erano stati due anni di sofferenza per tutti, con due mondiali finiti nelle mani di Mika Hakkinen, talentuoso finnico della rivale McLaren. Chi subiva maggiormente la pressione di tutto ciò era proprio lui, il Kaiser di Kerpen, arrivato per vincere e che dopo 4 anni era ancora a secco di trionfi.


Si arrivò così alle prime luci del 2000, con Schumacher e la Ferrari in lotta contro tutti, per riportare gioia in Emilia, dove da troppo tempo si lavorava senza ottenere risultati. Se gli anni ’80 e ’90 erano stati preda delle scuderie inglesi (biennio ’94-’95 escluso) il 2000 doveva essere l’anno della rivalsa. In fabbrica si serrarono le fila, si lavorò in continuazione, per garantire ai piloti una vettura in grado di lottare per il mondiale. Oltre ai, pochi, cambiamenti tecnici, c’era anche un nuovo pilota: Rubens Barrichello, giunto dopo l’addio di Irvine, vice-campione del mondo ’99, migrato alla Jaguar.


La stagione iridata iniziò alla grande per Schumacher, con 5 vittorie nelle prime 8 gare. Giunti a metà stagione, quando i tifosi iniziavano già ad assaporare il sapore dell’iride, per Schumacher arrivarono i colpi di scena, elemento essenziale, che mai può mancare in un thriller come può essere un mondiale di F1. Il tedesco, dopo il trionfale Gp del Canada, si dimenticò come si vinceva e per 3 gare di seguito non andò a punti, tra incidenti e ritiri. Dopo il Gp d’Ungheria Mika Hakkinen lo aveva addirittura superato nel mondiale, 64 a 62, da 24 punti di vantaggio era passato sotto di 2 punti. Una rimonta da KO, che prense pieghe ancora peggiori in Belgio, quando Hakkinen vinse la gara davanti a Schumacher, grazie ad un sorpasso entrato nella storia, sul rettilineo del Kemmel, quando in un colpo solo si sbarazzò del doppiato Zonta e del ferrarista, che anche sulla pista amica di Spa, dovette incassare.


La gara di Monza, posta a 4 Gp dalla fine e con Hakkinen in vantaggio di 6 punti, sapeva già di dentro o fuori per il tedesco. Sotto pressione però Schumacher si esaltò: pole e vittoria senza esitazioni in una Monza pesante, sia per la tensione della gara, sia per la notizia della morte di un commissario, colpito da uno pneumatico durante una carambola avvenuta nel primo giro. In conferenza il tedesco, giudicato da sempre un automa freddo e perfetto, si sciolse in un pianto liberatorio, scatenato da non si sa cosa, forse dalla tensione accumulata durante un’estate avara di successi per lui, in cui si era fatto carico di tutte le critiche. Un gesto che mostrò anche il lato umano di un campione apparso sempre freddo, ma che scatenerà qualcosa in lui, che lo porterà ad essere invincibile, ingiocabile per gli avversari, nemmeno Hakkinen potrà resistergli. Dominerà ad Indianapolis, dove nemmeno una falsa partenza di Coulthard gli metterà pressione e si presenterà a Suzuka, pista stregata per lui e per la Ferrari, con due jolly, con il mondiale ribaltato e con la possibilità di gestire, termine sconosciuto a Schumacher.


Si arrivò così a Suzuka, Schumacher comandava la classifica con 8 punti su Hakkinen, gli potevano bastare 2 secondi posti, ma lui non voleva controllare e così già al sabato diede spettacolo, aiutato anche da Hakkinen, mai domo. Pole a suon di giri veloci e Mika battuto per 9 millesimi. La gara però già in partenza sembrava un replay della stagione: Hakkinen davanti, nonostante il vantaggio di Schumacher, e il Kaiser ad inseguire. Hakkinen proverà a scappare via, ma Michael aiutato, anche da una leggera pioggerella, ricucì il distacco in vista del 2° pit stop. Al momento della sosta del finlandese, Schumacher compì un vero e proprio miracolo, con la macchina scarica iniziò a girare a tempi da qualifica, poi, rientrato ai box, sofurono i meccanici a fare il resto: pit lampo, solo 6” e quando il tedesco staccò il limitatore Hakkinen era soltanto ad inizio rettilineo. Ai box, a Maranello, a Kerpen e ovunque esplose la gioia, il sorpasso era compiuto! Michael allora volava, 2…3…4…6” il distacco tra i due, sceso solo negli ultimi due giri, in cui Schumacher pensaava a godersi la passerella che lo portava al rettilineo finale, alla bandiera a scacchi, al trionfo. Sì, Michael Schumacher ce l’aveva fatta, era campione del mondo per la 3° volta, la 1° volta con la Ferrari, che finalmente dopo 21 anni tornava sul tetto del mondo. Jody Scheckter aveva un successore, per il tedesco era il titolo più bello, giunto dopo 4 anni di critiche, di sofferenza, dopo aver superato i momenti più bui, come Jerez, Suzuka e Silverstone.


Per la seconda volta in stagione, dopo il traguardo, Schumi si scioglie, piange, parla in radio con la voce strozzata dall’emozione, ringrazia i suoi uomini uno ad uno e poi diventa romantico, quando manda un bacio alla sua Corinna, che lo ha supportato in ogni momento. Ai box il primo ad aspettare Michael è Mika Hakkinen, proprio colui che dovrebbe essere triste per il mondiale perso, è tra i primi a complimentarsi con l’amico-rivale. Sul podio è Todt a lasciarsi prendere dall’emozione, insieme al pilota che lo ha sempre difeso, con il quale collabora e lotta da 4 anni e con il quale ha raggiunto, finalmente, l’obiettivo vittoria. Alla festa però partecipano anche i due piloti McLaren, mai scorretti, sempre onesti con Schumacher in nome del rispetto che vige tra i piloti, che spesso sono rivali solo in pista, ma che fuori sono più che colleghi. Da quel momento Schumacher e la Ferrari diventano imbattibili, basteranno record su record, vittorie dopo vittorie, fino o al 2004, quando Schumacher vincerà il 7° e ultimo mondiale. Lui continuerà a lottare come un ragazzino fino al 2006, quando sfiorerà l’8° titolo.

A 16 anni di distanza sarebbe bello vedere l’uomo che ha reso grande la Ferrari nel nuovo millennio al muretto, ad incitare Sebastian Vettel, suo erede, o a supportare il figlio Mick, che nonostante tutto si sta facendo le ossa nella F4 italiana e tedesca, con ottimi risultati. Invece di Michael non si sa nulla, se non che è a casa sua, su una sedia a rotelle e che non può camminare, nemmeno se aiutato. Una situazione che fa soffrire tutti, dai tifosi ai rivali in pista, primo su tutti proprio Hakkinen, passando per Todt, Brawn, Montezemolo e Weber, protagonisti della grande storia del mito Schumacher.