Nello sport, illogica estensione della vita, esistono linee di demarcazione del tempo e dello spazio in cui i contesti e gli sfondi cambiano inevitabilmente. Nella competizione, la più acerrima e spinta che ci possa essere su questo pianeta, ogni gesto e ogni minimo contatto verbale e non assume connotati rilevanti; figurarsi se questi avvengono nel luogo dell’incontro o del Gran Premio. Già, perché è di motori che si sta parlando, di MotoGP e inevitabilmente i protagonisti sono sempre quelli che in due hanno qualcosa come 15 Mondiali: Valentino Rossi e Marc Marquez. Ieri la puntata Argentina della saga dei “Quasi Amici”, in cui il quasi è gigantesco quanto l’area metropolitana di Buenos Aires.

Una parola cresciuta nel tempo, negativamente, in momenti e luoghi che hanno fatto la differenza cambiando e storcendo una storia da “passaggio di consegne” o di “padri e figli”. Un buco, anzi, un botto come quello dello spagnolo a Valentino all'ultima curva, un botto che ha lasciato, lascia e lascerà nuovamente quegli strascichi che non devono assolutamente minare la bellezza di questo sport, leale e fiero. C’è da parlare, c’è da scrivere tanto quando episodi come questo lasciano passare in secondo piano il successo di Crutchlow, bravo ad uscire vincitore nella lotta con Zarco e Rins. E poi c’è il botto, il cui boato riecheggia dal 2015, da quel folle ultimo giro di Assen alla conferenza stampa in Australia fino ai fatti incresciosi della Malesia e di Valencia in cui lo spagnolo ha svestito i panni del pilota per indossare quelli da guastafeste. Guastare cosa? Il decimo Mondiale di Valentino Rossi, in quella mattina italiana ed un pomeriggio di Sepang largo e lungo. Il teatrino spagnolo per concludere in bellezza un finale di stagione 2015 da ufficio inchieste.

Tre anni fa ed una macchia indelebile nel rapporto Rossi-Marquez, umano e sportivo. Una crepa, un astio controllato in questi 1000 giorni di piccoli screzi e tregue e poi nuovamente il buio, tutto spento come il cervello del pilota spagnolo dopo una serie di penalità comminategli a causa dello spegnimento della moto in griglia e delle prove generali di volo su Espargaro. Ieri il centauro della Honda avrebbe potuto vincere a mani basse, come avrebbe potuto sorpassare Valentino in qualsiasi altro punto della pista e invece no: nel terzultimo giro la frittata e quelle scuse rifiutate seccamente dal box del 46, altra pagina su cui aprire dibattiti infiniti. Il diretto interessato, poi, ci è andato leggero nel dopo-gara: "Io ho paura e bisogna che facciano qualcosa per fare in modo che lui si comporti come tutti gli altri.  Tutti gli altri non sono stupidi, anche noi abbiamo le palle di fare così, però se tutti cominciamo a fare così, tra cinque gare non corre più nessuno perché ci siamo fatti tutti male. Io non ci credo che sia solo incoscienza, per me è proprio malafede, perché se tu vai contro l'altro e lo butti fuori dalla linea, soprattutto oggi che c'era umido, o cade o perde almeno un paio di secondi, quindi non ti può più riattaccarlo. Questo non è il calcio, qui ci si fa male. Io ribadisco che ho paura. Lui deve solo stare lontano da me e non guardarmi più in faccia. Se mi viene a chiedere scusa con i PR ed i manager della Honda, davanti alle telecamere, non ha neanche le palle di venirmi a chiedere scusa qui nel mio ufficio. Io sono andato da Stoner a chiedergli scusa, ma era successo una volta. Ma se lui viene a chiederti scusa, è proprio una presa per il culo. Almeno abbia il rispetto di stare lontano".

Un tuono, anzi, un fiume in piena il pilota della Yamaha che fino a quel momento era al sesto posto con Vinales appena davanti. Dal canto suo Marquez ha spiegato cosi l’accaduto: "Mi preoccupa zero. Sono onesto, ho commesso un errore totalmente involontario. La pista non era in buone condizioni, c'era un po' di umido e mi è successo quello che è successo a Zarco con Pedrosa o a Petrucci con Aleix. Sono andato in direzione gara per questo e anche per chiedere perché non mi abbiano tolto dalla griglia. Ho esperienza e ho chiesto al commissario, che però non sapeva cosa fare. Non capisco. Sulle sue dichiarazioni non dirò nulla, ha avuto 25 anni anche lui".

Ci sarebbero da scrivere molte altre pagine, altre analisi da fare ma le immagini lasciano spazio a pochi dubbi, riflessioni di altro genere ma forse qualcuna c'è ancora da scartare: Marquez è un fenomeno di questo sport (e in generale), vincerà altri Mondiali e questo nessuno potrà impedirlo perché tarpare le ali al talento è impossibile. Possibile invece è limitarlo quando il talento spegne il lume della ragione, guarda verso una sola direzione non calcolando gli altri. Limitarlo prima, nel momento dello spegnimento, o dopo con una bandiera nera. Restano solo i “se” e le conseguenze di un rapporto che non è mai stato tale, una guerra tra mondi diversi che purtroppo non finirà mai. Una nebbia fitta sulla MotoGP che, però, non deve e non dovrà impedire a questo sport di splendere. Restano e resteranno le troppe macchie e le troppe crepe negli ultimi tre anni, ieri in Argentina l’ennesima puntata oscura dei “Quasi Amici”.  La strada verso un nuovo incontro/scontro, purtroppo, è stata tracciata.