E' morto Leonard Cohen
E' morto Leonard Cohen

Il risveglio di un normalissimo Venerdì di Novembre non poteva essere peggiore: continua l'annus horribilis della musica mondiale, che ha visto andar via prima David Bowie, poi Prince, ora Leonard Cohen: "abbiamo perduto uno dei visionari più profilici e rispettati del mondo della musica" dice il suo agente sulla propria pagina Facebook, mentre è già partita l'ondata di condivisione di massa dei suoi brani su tutti i social network. Ancora ignote le cause della sua morte, arrivata come un fulmine a ciel sereno dopo l'uscita del suo ultimo album - You want it darker - meno di un mese fa.

Leonard Cohen non è stato soltanto un cantautore, la sua carriera musicale è iniziata relativamente tardi, sui 30 anni, mentre prima si era dedicato a racconti come Beautiful Losers e poesie come The spice box of earth. Fu la cantautrice folk Judy Collins a "convertirlo" alla musica convincendolo a scrivere canzoni e a esibirsi dal vivo, e fu proprio lei a voler interpretare due delle sue prime composizioni: Suzanne - diventato oggi un manifesto della musica di Cohen e del cantautorato in generale - e Dress rehearsal rag. I suoi primi dischi furono caratterizzati da un certo pessimismo (tanto da diventare "il poeta laureato in pessimismo") e da arrangiamenti essenziali, dando principale importanza ai testi. Songs of Leonard Cohen (1967), Songs from a room (1969) - con la stupenda Bird on the Wire - Songs of love and hate (1971) portano al successo il canadese, che riscuote apprezzamenti soprattutto dal pubblico colto e dagli universitari.

E' proprio in questo momento che Cohen opta per il cambio di rotta, e grazie alla collaborazione con Phil Spector che porta alla nascita di Death of a Ladies' Man del 1977, il disco più controverso della sua carriera dove Cohen sperimenta il Jazz e vari stili etnici della musica mediterranea e orientale. Il passaggio agli anni '80 segna il volgersi a tematiche più intime e spirituali, culminato con il disco del 1984 Varius Position, dove è contenuto il brano più conosciuto della discografia del cantautore canadese: Halleluja. Paradossalmente il brano non riscosse grande successo all'inizio, e il brano portante del disco fu Dance Me to the End of Love (arrangiato da David Campbell, produttore, compositore e arrangiatore per dischi come Invincible di Michael Jackson e Meteora dei Linkin Park) ma il brano aveva iniziato ad avere comunque un seguito tra gli addetti ai lavori: Bob Dylan ne fornì una sua interpretazione nel 1988, mentre John Cale la reincise nel 1991, dando il là ad una serie di reinterpretazioni e cover (oltre 200) che hanno portato il brano ad essere un punto fermo della storia del cantautorato mondiale.

La seconda parte della sua carriera fu caratterizzata dai suoi ritiri spirituali, il suo abbraccio al buddhismo e dal suo isolamento, pur continuando ad incidere dischi di successo come The new song e come quello pubblicato nell'Ottobre di quest'anno, che mai avrebbe fatto pensare a ciò che stiamo commentando oggi. Un cantautore, poeta, scrittore, romanziere, anche lui - come Dylan - per anni tra i papabili vincitori del Nobel per la Letteratura. E' stato un punto di riferimento per tanti: Fabrizio de André ha attinto dalla sua opera direttamente e indirettamente, ed è anche merito suo se brani come Suzanne, Joan of Arc (Giovanna d’Arco), Seems so long ago, Nancy (soltanto Nancy nella versione italiana), Famous Blue Raincoat (Famosa volpe azzurra, cantata poi da Ornella Vanoni) sono arrivati al successo in Italia, grazie all'adattamento in italiano del cantautore genovese e alla sue interpretazioni.

Noi di Vavel decidiamo di ricordarlo con la title-track del suo disco più controverso, come controverso ha voluto essere lui in tutta la sua carriera, tra eccessi e ritiri spirituali, riflessioni spinte ed intime.

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