Caparezza - Prisoner 709, la recensione di Vavel Italia
La copertina di Prisoner 709 - foto di soundsblog.it

709. 7 o 9. 7 come gli album di Caparezza, 9 se si conta anche la sciagurata parentesi Mikimix degli inizi, dualismo che il rapper di Molfetta ha sempre inserito nei suoi dischi con una forte dose di autocritica. In realtà la chiave d'interpretazione del disco la offre l'altra parte del titolo: Caparezza è prigioniero, condizione derivata dall'acufene di cui soffre da quasi tre anni e che ha influenzato l'intero lavoro, in termini di testi così come dal punto di vista strumentale.

Che Prisoner 709 sarebbe stato un disco atipico per Capa lo si era capito già dal primo estratto, la title-track, un pezzo con spiccate venature industrial che gioca sulla stessa dissonanza ripetuta lungo tutta la durata della traccia, dove Salvemini critica apertamente l'industria musicale, tema mai troppo affrontato qui in Italia. Ma il vero filo conduttore del disco è il già citato acufene e la successiva crisi di Caparezza: diversi brani sono tra i più cupi, oscuri mai scritti dal pugliese, come ad esempio l'angosciante opener Prosopagnosia ("Si tratta ancora di me, ma non è lo stesso"), arricchita dalla straordinaria prestazione vocale di John De Leo, che torna protagonista nel riuscito intermezzo Minimoog, forse il brano più tensivo del lotto; in Larsen Caparezza parla proprio della sua esperienza personale, mentre nella particolare Autoipnotica, una delle canzoni migliori, tratta il tema della crisi che ne è derivata ("Fuggo da me stesso come se / costui mi volesse un po' come sé"). Ma in Prisoner 709 non c'è solo negatività: il rapper di Fuori dal Tunnel è ulteriormente maturato e parla al se stesso giovane in Una Chiave, power ballad molto più riuscita di China Town presente nel precedente Museica (2014), in quello che appare come un inno motivazionale ("Non è vero / che non sei capace / che non c'è una chiave"); emblematico inoltre il singolo lanciato in radio, Ti Fa Stare Bene, in cui Caparezza cerca di evadere dai propri problemi in un pezzo che è "un po' troppo da radio" ma che posto a metà dell'album svolge il suo compito di spartiacque alla perfezione.

Max Gazzé, uno dei tre ospiti di Prisoner 709 | foto di mailticket.it

In questo ultimo lavoro non c'è politica, ma non mancano temi cari al rapper, come le religioni: Confusianesimo, uno dei brani più rap e più riusciti, parla di quanto Caparezza non si riconosca in nessun credo ("C'è una scienza dietro le religioni"); L'Uomo Che Premette è un brano fortemente rock che si riferisce alla smisurata ed esagerata ira dei commenti sul web ("Al mio terzo like / è terzo reich") i cui autori tendono a premettere prima di esprimere il loro parere. Altri pezzi notevoli sono Migliora La Tua Memoria Con Un Click, cantata in coppia con un Max Gazzé in gran forma (simpatico e significativo il finale con il parlato del cantautore romano), Sogno di Potere con la sua base che strizza l'occhio al rap moderno e Il Testo Che Avrei Voluto Scrivere, nel quale riemergono le chitarre elettriche. Non mancano episodi meno validi come Forever Jung (nonostante la collaborazione con DMC) e La Caduta di Atlante e L'Infinto, brani che ricordano molto il mood di Le Dimensioni Del Mio Caos (2008), album nel quale probabilmente sarebbero stati tra i migliori.

Traendo le dovute conclusioni, Prisoner 709 funziona: funziona perché Caparezza dopo la parziale delusione di Museica ha dato dimostrazione di saper ancora scrivere rime vincenti; ma soprattutto ciò che rende questa nuova uscita una delle migliori tre di Michele Salvemini è una commistione testo-musica che mai nei suoi lavori era stata così accentuata. La produzione è pressoché perfetta e le basi curate nei minimi particolari, sia negli strumenti "canonici" (la presenza di batteria, basso e chitarre è decisiva) sia nell'elettronica, usata sapientemente ma che è uno degli elementi portanti, soprattutto per creare tensione tramite campionamenti vocali; ed è proprio questo background di suoni che accompagna lo sfogo di Capa a rendere questo disco un capolavoro.

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