Foo Fighters - Concrete and Gold, la recensione di Vavel Italia
L'artwork di Concrete and Gold - foto di hano.it

Dave Grohl è senza dubbio una delle ultime, forse l'ultima rockstar nel vero senso della parola. In questo senso, i Foo Fighters negli ultimi anni stanno vivendo un successo che forse mai avevano raggiunto prima, considerati come un mero tentativo di mantenere in vita i Nirvana (insinuazione più lapidaria e sbrigativa non potrebbe essere fatta riguardo alla band in oggetto). Succede che quindi a distanza di tre anni da Sonic Highways, e dopo diverse peripezie del rocker, come ad esempio quella di rompersi una gamba ma continuare il tour, il gruppo statunitense torni con un album che, di sicuro, non deluderà i fan.

Analizzando questo nuovo Concrete and Gold, la prima conclusione che si trae è che il disco è tipicamente rock, nei suoni come nella struttura dei pezzi, nonché nell'organizzazione della tracklist. Si apre con un intro, T-Shirt, che di fatto serve ad introdurre il brano che si dimostrerà poi essere il migliore del lotto, il singolo Run, che presenta una riuscita commistione di melodia e cattiveria. L'album continua con Make It Right, pezzo che di buono ha il riff iniziale e un chorus direttamente preso dagli anni '70. Successivamente, un arpeggio e i cori introducono The Sky Is A Neighborhood, una power ballad che sembra scritta apposta per essere cantata insieme a migliaia di persone nei live, sia per il ritornello trascinante sia per il testo coinvolgente.

Tuttavia, stavolta il serbatoio di idee del sestetto non sembra essere particolarmente fornito: già in La Dee Da e Dirty Water, che chiudono la prima metà del disco, il gruppo mostra la spia della riserva. Il primo è un pezzo piuttosto monocorde e che non lascia nulla; con il secondo il livello si rialza parzialmente, tramite una canzone ben composta con una prima parte calma che prepara il bridge più spinto in cui fa capolino un synth; Arrows riprende lo stesso identico giro di Sky Is A Neighborhood ed è un pezzo in pieno stile Foo Fighters, ma alla lunga risulta noioso. L'ultimo highlight del disco è l'ottava traccia, il country-blues di Happy Ever After (Zero Hour) che accompagna l'ascoltatore in quasi quattro minuti tranquilli, per una volta senza mai alzare il tiro, in un pezzo che convince appieno. Da qui in poi, l'album presenta tre pezzi completamente evitabili: Sunday Rain è costruita su una solida idea, ma con i suoi oltre sei minuti risulta troppo prolissa e noiosa; The Line è uno dei pezzi più banali che Grohl e soci potessero scrivere, sia in termini di testo sia in termini musicali. A chiudere, la title-track presenta cinque minuti tipicamente pinkfloydiani (a la Comfortably Numb) senza però lasciare il segno.

Concludendo, non si può dire che Concrete and Gold sia un flop: nessuno si aspetta un capolavoro dai Foo Fighters, ma un album di buon rock, senza orpelli e con tante chitarre; ed è proprio questa l'essenza di Concrete and Gold (già dal titolo e dall'artwork). Resta il rammarico per i testi, mai veramente all'altezza in quanto accozzaglia di frasi che si potrebbero trovare in una qualsiasi canzone del genere, ma per il resto è indubbio che i Foo Fighters sono tornati. Non in grande stile, ma comunque onestamente.

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