Le lacrime di Del Potro da una parte, quelle di Novak Djokovic dall'altra. L'Olimpiade regala gioie ed emozioni, dolori e delusioni. Se l'argentina ride con il gigante di Tandil, la Serbia piange con il suo idolo, battuto ed abbattuto dalle bordate di Juan Martin, che a distanza di quattro anni - nei quali di acqua sotto i ponti ne è passata - bissa il successo londinese sul numero uno assoluto del tennis mondiale, travolgendolo con una infinita serie di dritti vincenti. Due tie break, ed un match estenuante - probabilmente uno dei più belli della stagione per intensità, qualità di gioco e pathos - consegnano alla storia il riscatto di un uomo, che non più tardi di qualche mese fa era ad un passo dal ritiro. 

Soltanto in un torneo pazzo come l'Olimpiade - che ha tra le altre cose visto le eliminazioni anche di Herbert-Mahut, dei fratelli Murray e delle sorelle Williams nella stessa serata - poteva accadere. Soltanto la magia dei cinque cerchi olimpici poteva ri-consegnare al sud americano quel che aveva perso durante una sfortunatissima carriera. Ed allora Del Potro scende in campo senza timori reverenziali, senza alcuna paura di perdere, sfoderando il tennis che probabilmente soltanto nelle edizioni passate di Wimbledon aveva dimostrato di possedere. 

Pronti via l'argentino fa capire al rivale che la serata sarà tremendamente difficile, in risposta, sia con la prima efficace che con gli altissimi kick sulla seconda, e soprattutto di dritto: è con la sua famigerata arma che Del Potro si apre la strada verso il successo, vincendo il match sul terreno preferito del rivale. Ciò nonostante dall'altra parte non c'è un tennista qualsiasi, c'è uno che davanti alla parola sconfitta ci ride, prendendosene beffe, voltando le spalle a quello che sembrava fin dalle prime battute un segno del destino e lotta con tutto se stesso in nome del risultato. Del Potro è scatenato, Djokovic fatica a leggere le traiettorie del servizio del rivale, così come stenta ad arginare il sudamericano persino sulla diagonale di rovescio. E' qui la magia: Del Potro ritrova improvvisamente il colpo sulla carta più debole, riuscendo persino a vincere scambi lunghi grazie ai tagli con il back e le discese a rete. Si salva ripetutamente nel primo parziale Nole, ma il computo delle palle break fotografa al meglio l'andamento di una gara che pian piano sembra sfuggirgli di mano. I nastri, tre quasi di fila, consegnano a Del Potro l'opportunità di chiudere il set al tie break. Il ruggito di Juan Ma è già nella storia dopo l'ennesimo dritto. 

Ci si attende il moto d'orgoglio di Djokovic nel secondo parziale. Arriverà, ma senza essere sorretto dal suo classico tennis. Anche perché dalla parte opposta l'argentino non batte ciglio, non trema e soprattutto non crolla fisicamente: il dritto è sempre lo stesso e macina punti su punti (saranno circa quaranta a fine gara). Sugli spalti, nel frattempo, va in scena uno spettacolo magnifico - al quale partecipano i due tennisti nonostante la foga dell'incontro - tra brasiliani-pro-Nole, serbi e argentini. Il guizzo di Djokovic, con la punta della racchetta su una smorzata celestiale di Del Potro, sembra poter cambiare le sorti del match. Il serbo è costretto a salvare palle break a ripetizione, aggrappandosi al servizio, arma che non sempre lo ha aiutato nella notte. I fendenti del gigante di Tandil lo scalfiscono, lo innervosiscono oltremodo, ferendolo nell'animo battagliero.

Il tie break è l'inevitabile conclusione di una gara pazzesca, i due passanti in corsa di Del Potro l'immagine di una serata che gli Dei del tennis hanno voluto regalare all'argentino dal cuore tenero. Una partita perfetta, una serata indimenticabile: lo sa perfino Djokovic, che stenta a rete a trattenere le lacrime - liberate successivamente al momento dell'uscita -. L'abbraccio è umile e fraterno, riconoscente verso un tennista, un rivale, malinconico quanto sfortunato. Piange Del Potro, stenta a crederci dopo tutto quel che ha passato. La notte di Rio è sua.