61 vittorie, la miseria di 8 sconfitte, 7 titoli all'attivo, Australian Open e Roland Garros a nobilitare la stagione corrente. Numeri che certificano un 2016 di primo piano, quantomeno sulla carta. La terra di Parigi resta il punto più alto, la naturale conclusione di un percorso tortuoso, estremo. Domare Parigi, la Francia, per consegnarsi alla storia della racchetta. Polvere amara, sfuggente, fino alla finale con Murray, l'atto conclusivo con il rivale più feroce. Dolce l'epilogo, un set sotto, una rincorsa di gambe e di testa, una maratona di classe, per spegnere l'incedere autoritario di un Sir. Schizzare ai lati del campo, indovinare le falle di un sistema simile, per interpretazione e risposte.

Finalmente Parigi, Djokovic vince il Roland Garros, appare imbattibile

Djokovic festeggia in quattro set, completa il Career Grand Slam, accarezza da vicino il Paradiso del gioco. La fredda legge dei numeri - citati poc'anzi - recita 12 tornei del Grand Slam. Preludio a un regno incontrastato, favorito dalle difficoltà dei principali rivali e dalla difficile ascesa dei nuovi pretendenti. Murray sembra un Djokovic in versione ridotta, Federer e Nadal incrociano il dio Crono e cedono il passo. Il vaso di Pandora improvvisamente spande i dubbi del tempo, lancette che segnano in modo inesorabile la descensio. Acciacchi di varia natura, pause necessarie per rispolverare l'ultima versione di carriera.

Roland Garros - Djokovic e Murray: Straordinario l'avvio di terzo set, nel quale Djokovic prende definitivamente in mano la partita. Il serbo si esibisce in recuperi mozzafiato nei pressi della rete e "scherza" Murray con soluzioni in contropiede che stroncano l'ottimo tennis del britannico. Sorprende, soprattutto, la lucidità del serbo, pronto a giocare colpi definitivi in condizioni al limite.

Prima e dopo

Il Roland Garros giunge al termine di una sequenza mirabile. Djokovic non salta, nei primi mesi dell'anno, alcun torneo di alta rilevanza. A Doha annichilisce Nadal (percorso netto anche nel conto set), in Australia rischia solo con Simon - vittoria in cinque - prima di prevalere su Federer e Murray al tramonto del torneo. L'accoppiata Indian Wells - Miami mostra un Djokovic ingiocabile anche su una superficie differente. L'avvento del rosso non propone quesiti "pericolosi". Nole si prende Madrid, inciampa al Foro in finale, e poi esplode a Parigi.

Quando il percorso sembra favorevole, il fisico inizia a reclamare una pausa. Il tennis di Nole è dispendioso, il corpo viene sottoposto a strappi e sforzi sovraumani, di continuo. Un via vai tra fondo e rete, allungo e ritorno. Non a caso si tende a paragonare Djoko a un muro di gomma. La peculiarità del serbo - giocatore oggi estremamente completo - risiede proprio nella tenuta difensiva, nella capacità di portare oltre il limite il rivale, costretto, per chiudere il punto, a spingere fino all'errore. Al crollo fisico, si accompagna una pausa mentale, il titolo sul Philippe Chatrier spegne parzialmente l'ardore del serbo. La lunga pausa sopisce il fuoco sacro. Il tennis è uno sport dominato da sottili equilibri, in cui solo una macchina perfetta può primeggiare.

Querrey trafigge Djokovic a Wimbledon, Wawrinka lo spedisce al tappeto a New York

A Wimbledon, il bombardiere Querrey lancia l'allarme. Il Campo Centrale assiste attonito all'improvvisa uscita di scena del numero uno. Djokovic gioca poco e male, palesa nervosismo, si perde in passaggi a vuoto anormali per un martello come lui. L'illusione canadese - vittoria su Nishikori a Toronto - va in frantumi al cospetto della cruda realtà. A Rio, è un Del Potro di lusso a cancellare Djokovic con doppio tie-break, mentre all'US Open Nole zoppica ma approda in finale. Qui è la sua bestia nera, Stan Wawrinka, a piazzare il montante che manda definitivamente al tappeto le ultime certezze del serbo.

Wawrinka - Djokovic - Wawrinka trova la giornata perfetta, mantiene un ritmo elevato per l'intera partita, disegna il campo e costringe Djokovic alla resa. La partita si chiude in quattro parziali, con Nole che non riesce mai a ribaltare l'inerzia.

L'avvicinamento

Nel mezzo, i richiami, dolorosi, del corpo. Per ultimo il gomito, che costringe Djoko a saltare Pechino, torneo spesso foriero di gloria. A Shanghai, rischia con M.Zverev e crolla con Bautista, un onesto mestierante del gioco, un profilo da terra che si sbarazza di Djokovic sul veloce. Troppo, per non carpire il mutamento nel tennis e nella mente del serbo. Così la seguente debacle di Bercy quasi non sorprende. Cilic poggia sul suo servizio, trae linfa vitale dalla battuta e non apre spiragli a un Djokovic modesto. Ai quarti, urrah croato, Nole è fuori, per l'ennesima volta.

Source: Julian Finney
Source: Julian Finney

Le Finals

Il rapporto con le finali ATP per Nole è estremamente produttivo. Il primo squillo nel lontano 2008, alla Tennis Masters Cup, con assolo conclusivo su Davydenko. Dopo il passaggio dalla Cina a Londra, qualche anno di apprendistato prima di prendere con decisioni le redini. Il dominio è incontrastato da quattro stagioni, con Federer - assente nell'edizione alle porte - come primario antagonista. Lo scorso anno, vittoria in due set a vendicare la sconfitta del round robin per Nole. Nel 2014, dopo la W in tre con Nishikori in semifinale, niente finale. Forfait di Roger per i problemi alla schiena. Nel 2012, ancora Djokovic - Federer, con medesimo epilogo. Un piccolo stacco solo nel 2013, con Nadal al braccio di ferro con il serbo. 63 64 e titolo a Belgrado.

La finale del 2015 tra Djokovic e Federer

Il girone

Raonic, Monfils e Thiem, tre differenti personalità lungo la strada di Djokovic. Un sorteggio non certo proibitivo, con Murray - nuovo numero uno - sul fronte opposto, insieme al temibile Wawrinka, all'ostico Nishikori e al potente Cilic. Raonic - date le condizioni fisiche - è un'incognita e Djoko ben si accoppia con il canadese, Thiem è all'alba di una carriera florida, ma sembra in parabola discendente, a corto di energie, Monfils è un cavallo pazzo, difficile da gestire, ma chiaramente battibile. Tutto nelle mani e nella racchetta quindi di Djokovic. Il baratro è all'orizzonte, ma il carattere è forgiato da mille battaglie, non pronosticabile ad ora un tracollo nella fase a gironi. Djokovic non parte come favorito - il Murray attuale è superiore - ma "vive" per riprendere il comando, ha un nuovo obiettivo verso cui spingersi, una motivazione in grado di sotterrare paure e carenze.