Milos Raonic chiude l'anno da n.3 del mondo, bravo a scalfire talvolta la bolla di onnipotenza creata a turno da Djokovic e Murray. La crescita del colosso canadese è innegabile, in termini di gioco - grazie ad un'evoluzione del servizio, non più solo arma diretta, e dell'esecuzione a rete e di rovescio - e in termini di approccio. Un salto di qualità esponenziale, per interpretazione e tentativo di attacco. A confermare l'assunto, la continuità a livello di prestazioni, con il successo a Brisbane ad aprire un 2016 ricco di soddisfazioni. La finale a Wimbledon - al cospetto di un Murray di lusso - come punto più alto, prima del difficile finale, con alcuni fastidi fisici a limitarne la corsa. Sorprendente, in un contesto del genere, la rinuncia a una figura come Moya, determinante nel cambio di passo del colosso canadese. 

L'epilogo della stagione è il momento propizio per sistemare alcuni tasselli, settimane di duro allenamento, condite da delicate decisioni. Mentre Moya si accasa alla corte di Nadal, con l'obiettivo chiaro di riportare ad alto livello il maiorchino, Raonic completa il suo angolo con un altro tenore della racchetta. Milos, infatti, affianca a Riccardo Piatti, mentore e primo uomo nella "batteria" a disposizione, Richard Krajicek, lungo olandese che ricorda per molti versi il Raonic tennista. Servizio potente, propensione all'uno-due, amore sconfinato per l'erba, meno per polvere e terra. Qualche titubanza, come Raonic (la struttura fisica gioca qui un ruolo primario), negli spostamenti laterali. 

Krajicek è oggi il direttore del torneo di Rotterdam e, come riporta la Gds, non ha alle spalle un curriculum, da tecnico, di primo piano. Tutt'altro. Un approccio con Wawrinka, scarsi risultati, data anche la natura incostante del gioiello elvetico. Ora una nuova occasione, per rifinire un Raonic ormai a un passo dalle sacre sfere della racchetta. Richard, vincitore a Wimbledon 20 anni fa, per raggiungere Andy e Novak, per compiere l'ultimo passo verso l'immortalità. Grandi del passato che prendono per mano grandi del presente, consuetudine consolidata nel tennis attuale. 

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Johnathan Scaffardi
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