Dalla stella cadente Eugenie Bouchard alla rediviva Simona Halep, seppure con il neo del ritiro di quest'ultima. Passando per Caroline Wozniacki, Sabine Lisicki, Ana Ivanovic e, soprattutto, Serena Williams. La Rogers Cup di Belinda Bencic è sembrata una di quelle epiche tappe di montagna di un grande giro ciclistico, breve ma con tantissime salite hors categorie.

Che la diciottenne di Flawil ha affrontato con grande lucidità e testa da veterana, non mollando mai la presa sulla partita anche quando la stessa sembrava aver preso altri lidi. Aggrappandosi alla legge fondamentale del tennis, quella per cui finché c'è un pallina da giocare e da scagliare dall'altra parte del campo, c'è vita. E quando c'è vita, c'è speranza. La stessa Serena, dopo essere stata sconfitta, ha elogiato la grande forza mentale dell'elvetica, mettendo in luce la sua bravura nel non arrendersi mai anche nei momenti più difficili. E così, una dopo l'altra, la Bencic ha messo nel suo carniere scalpi di gran prestigio e si è portata a casa il suo primo Premier 5. Nonchè secondo titolo WTA della carriera, dopo il trionfo ai danni di Agnieszka Radwanska - con tanto di bagel nel terzo, decisivo, set - sull'erba di Eastbourne.

La testa, la vera forza di Belinda, il cui nome circola sui taccuini degli addetti ai lavori fin dal 2013, quando mise in file il double Roland Garros/Wimbledon a livello juniores: quella che le permette, ad esempio, di non soccombere alle bordate terrificanti di Serena Williams e di non farsi prendere dalla sindrome del braccino quando in palio c'è una finale Premier e lo scalpo della più grande tennista degli ultimi tempi. Il campo si fa piccolo piccolo, l'avversaria gigante e le palline macigni diventati improvvisamente troppo pesanti per poter anche solo pensare di mandarli dall'altra parte. É lì che viene certificate la nobilitate tennistica di Belinda, di una ragazza che prova a rinverdire i fasti di un'altra ex bambina prodigio, quella Martina Hingis che fra un doppio e l'altro osservava compiaciuta dagli spalti la sua giovane padawan districarsi nella giungla di un tabellone presidiato, stazione dopo stazione, dalle regine del circus.

In questa settimana da sogno, resta solo un piccolo rimpianto: il non essere riuscita a completare fino in fondo il proprio capolavoro, complice anche il ritiro di Simona Halep nel terzo set di una finale fin lì bellissima e tiratissima. Ma dopo aver speso ogni stilla delle poche energie rimaste al termine di un torneo in cui ha dovuto affrontare partite durissime, martoriata dai crampi allo stomaco e da una gamba dolorante la romena alzava bandiera bianca dopo aver perso gli unici tre giochi disputati. Un piccolo neo, una pennellata sbavata in un quadro di altissimo contenuto tecnico.

Ma soprattutto un'ipoteca sul futuro, non tanto - o meglio, non solo - a livello economico quanto a livello tennistico: la dodicesima posizione del ranking WTA significa un tabellone potenzialmente più agevole ai prossimi Us Open, dove è chiamata a difendere gli ottavi di finale conquistati la passata stagione. La bambina cresciuta a pane e tennis nel mito di Martina Hingis, sta ora raccogliendo i frutti del suo lavoro. Svizzera come Martina, di origini slovacche come Martina, vincitrice della Rogers Cup a 18 anni, manco a dirlo come Martina (che trionfò per nel 1999 per poi ripetersi l'anno successivo): se non sono segni del destino questi...

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Alessandro Gennari
Schermidore a scoppio ritardato, rugbista mancato, ciclista negato, tennista si fa per dire. Storico per laurea, giornalista per amore dello sport. Presto la mia tastiera al servizio di scherma, tennis, sci alpino, nuoto e chi più ne ha più ne metta.