Più che una vittoria, un'esecuzione. Cinica e spietata.  Niente favola per Venus, eterna leonessa del Court ancora in grado di respingere l'assalto della new wave e presentarsi, a 37 primavere e 9 anni dopo l'ultima volta, a giocarsi il Piatto. Troppo forte Garbiñe Muguruza, che piega mentalmente ancora prima che fisicamente l'avversaria e si prende, con pieno merito, la sua rivincita a Wimbledon dopo la finale 2014 ceduta all'altra Williams.

Non le basta un Centrale tutto dalla sua parte per piegare alla sua volontà una Muguruza spesso a corrente alternata ma, quando in bolla giusta, devastante per tutte. Sotto gli occhi di Conchita Martinez - ultima spagnola a vincere Wimbledon quando Garbiñe era poco più che una neonata - la spagnola piega a braccio di ferro la Venere di Compton, dapprima rispondendo colpo su colpo quindi portando la partita sui propri binari. Il match è, per la prima parte, un'autentica battaglia: servizio che funziona per entrambe e scambi brevissimi, anche perché dall'una e dall'altra parte escono fucilate difficilmente controllabili dall'avversaria. E anche nei rari casi in cui si arriva a palla break, era il servizio a rimettere tutto a posto. 

E proprio dalla mancata concretizzazione di due palle break da parte di Venus che arriva la chiave di volta del match: dal potenziale 6-4 e primo set per la statunitense, ai tre giochi di fila che di fatto mettono fine alla partita. Muguruza brekka nel decimo game, chiude la pratica primo set a quello successivo e mette le mani sulla partita. Quegli errori sono una condanna per Venus, che da quel momento non si riprende più. Lo si intuisce dal volto, che da sfinge imperturbabile, si trasforma in sofferente fino a diventare l'instagram della resa incondizionata.

Il secondo set è una vera e propria via crucis per Venus, smarrita e svuotata, mentre dall'altra parte Muguruza si fa grande, grandissima. Una montagna che oscura il sole alla Williams, che improvvisamente sembra perdere ogni potere magico e fin troppo velocemente si consegna a un'avversaria che con grande - e crudelmente giusto - cinismo infierisce sull'americana allo sbando. Il 6-0 del secondo set è fotografia cruda e reale dell'andamento della partita, punizione troppo severa che però non cancella quanto di grande ha fatto Venus durante tutto l'arco del Torneo di Church Road: la lezione alle giovani Konjuh ed Ostapenko, l'affondamento chirurgico della Konta sono solo alcune delle perle messe in mostra da Venere durante le due settimane. Vederla cadere così in finale, fa male e vela gli occhi di malinconia, ma Venus, che è signora dello sport ancor prima che campionessa, capisce e rende merito alla sua giovane avversaria.

Che dal canto suo, chiude come meglio non poteva due settimane perfette per lei, dopo una stagione tanto difficile. La maratona al termine della quale ha piegato Kerber in tre set è pietra miliare del suo cammino a Church Road, la semifinale in cui ha annientato le velleità di Rybarikova, una mostruosa prova di forza. Antipasto per il capolavoro di oggi: Wimbledon un anno dopo Parigi, la certificazione che fra le grandi del tennis questa ragazzona spagnola ci sta benissimo.