Maria Sharapova intravede uno spiraglio di luce. Si spalancano, per lei, le porte dell'ultimo slam di stagione. Gli organizzatori dell'US Open, infatti, decidono di concedere alla russa una wild card per il tabellone principale, di fatto scegliendo altra via rispetto ai predecessori. Dopo il rifiuto di Parigi e la scelta di Maria di percorrere le qualificazioni a Wimbledon, per evitare ulteriori polemiche (scelta poi vanificata dai problemi di natura fisica), ecco la risposta americana. L'appeal della Sharapova è ancora ai massimi livelli, aldilà delle poche presenze in campo. Calamita per appassionati e non, Masha rappresenta un'oasi per il circuito femminile. 

Un rapporto non sempre idilliaco con il torneo. L'ultima versione d'élite nel 2012, con l'uscita in semifinale al cospetto di Vika Azarenka. In precedenza un'altra semifinale, nel 2005, ma soprattutto il titolo del 2006, con l'assolo nell'atto conclusivo con Justine Henin. 

Dopo aver incassato il sì, ora Maria deve però tornare a calcare i campi con continuità. Sul rosso il suo rientro post qualifica, Stoccarda - semifinale - come illusione di ritorno. Secondo turno a Madrid e Roma, poi i primi scricchiolii di natura fisica. Una stagione in erba da spettatrice, Stanford come meta per la nuova apparizione. Un faticoso approccio con la Brady, domata al terzo, la decisione, a seguire, di non fiaccare un corpo non ancora pronto. L'avambraccio continua a creare problemi, meglio non rischiare, questo il parere medico. Rinuncia al secondo turno con la Tsurenko e passo indietro, nell'ombra. Gli interrogativi aumentano, la divina continua ad essere oggetto di discussione. L'attesa è ora per Flushing Meadows