Rivoluzione o restaurazione
Rivoluzione o restaurazione

In queste ore tiene banco l’affaire Tavecchio. Un brain trust - giornalisti, ministri, parrucconi - sta valutando il livello di impresentabilità raggiunto dal presidente dei Dilettanti, un Fantozzi 2.0. sgrammaticato, in seguito alla boutade pronunciata durante il discorso di presentazione della sua candidatura a capo della Figc. Come al solito, si viene rapiti dal dito che indica la luna, dimentichi dei cartelli elettorali che hanno da sempre sponsorizzato ed eletto i Tavecchio di turno.

Il futuro del nostro sistema rotondolatrico è dipeso da una scelta ben precisa: rivoluzione o restaurazione. Tertium non datur. Nel primo caso, i costi sono altissimi. Ogni modifica dello status quo porta con sé – a seconda dei punti di vista – benefici e svantaggi. E garantisce un’unica certezza: il cambiamento morfologico del soggetto in esame. Altrimenti, ça va sans dire, il passo dalla rifondazione alla restaurazione si fa breve. Chi scrive propende per la via più impervia. Sicché crediamo che, per abiurare il conservatorismo imperante, occorra un repulisti sine die, profondo, rigenerante. Ecco quindi 10 proposte, in ordine sparso, per tentare di rianimare il calcio italiano.

1. Abolizione della Lega. La legge Merlin ha sancito la chiusura delle case di tollerenza. A questa norma si è inspiegabilmente sottratta la Lega. Un bordello in cui cambiano i presidenti e i consiglieri, ma non i costumi e le abitudini. Proposta? La si sciolga e si traslochino compiti e scartoffie in Figc.

2. Presidente Figc eletto per un solo mandato. Servono persone con idee, progetti e mani libere e pulite. Ragion per cui il numero 1 della Figc non può a) essere rieletto, b) cumulare cariche (interne e/o esterne), c) rispondere ai diktat del mondo politico-finanziario. La regola è la seguente: presenti un programma, ti fai eleggere e ti spendi affinché lo realizzi.

3. Scindere la struttura direttiva della Figc in due rami. L’area professionistica va separata da quella dilettantistica.

4. 18 squadre in Serie A. Serie B a 20 squadre. Lega Pro a 60.

5. Istituizione di un organo federale di controllo. Ci sono club con centinaia e centinaia di tesserati, la maggior parte dei quali parcheggiata o usata come pedina di scambio. È arrivato il momento di denunciare il far west dei fondi d’investimento e regolamentare la congrega dei procuratori. Si indichi un organo federale e gli si dia pieni poteri nel controllo delle operazioni di compravendita. Stabilendo ammende, penalizzazioni e diffide per i tre principali attori: procuratori, club e giocatori. Sbagli una volta, paghi. Perseveri nell’errore, vieni messo alla porta.

6. Settore giovanile. Tutte le società di Serie A e B sono obbligate ad avere una squadra in ogni categoria giovanile, a partire dagli under 12. Ogni formazione dall’under 16 in su deve avere in rosa almeno 12 giocatori candidabili alla maglia della nazionale di categoria. Succede già in Germania.

7. Investire nei vivai. Conditio sine qua non associata al punto precedente. Ciascun club deve stanziare una parte del suo fatturato (tra il 7% e il 10%) per la gestione dei vivai. In Bundesliga ogni club spende circa 4,4 milioni di euro per i settori giovanili (in 13 anni, 820 milioni totali). Mentre in Serie A non si va oltre i 2,75 milioni.

8. Rosa dei club. Le squadre di Serie A possono contre su non più di 25 giocatori, di cui almeno 8 cresciuti nei vivai (indipendentemente dalla nazionalità).

9. Stadi di proprietà. Sono solo due, al momento, le squadre di Serie A a possedere stadi di proprietà. Rapportandoci alle società inglesi, tedesche e spagnole, la partita in tema è già persa in partenza. Se è vero che avere stadi ammodernati, efficienti e gestiti dai club non è garanzia di successo, è altrettanto vero - e inaccettabile - che ci siano club della massima serie dotati di impianti vetusti e fatiscienti, e alcuni addirittura privi (vedasi il Cagliari). Così come è uno scandalo che la legge sugli stadi sia ancora giacente nei cassetti della politica.

10. Azionariato popolare. Nessun club deve essere di proprietà di un singolo azionista per più del 50%. Da qui la nascita e lo sviluppo dei Supporters Trust, ovvero cooperative e associazioni di tifosi che si organizzano in un soggetto (riconosciuto giuridicamente) col fine ultimo di avere peso specifico nelle decisioni del club.

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