Champions League, il suicidio perfetto del PSG

L'altra faccia dell'impresa: quella di una squadra incompiuta, che ha mostrato limiti caratteriali ed è crollata quando la qualificazione sembrava agguantata.

Champions League, il suicidio perfetto del PSG
Kurzawa e Meunier cercano di evitare il primo gol di Luis Suarez. Fonte. Reuters.
andrears
Di Andrea Russo Spena

Se con la clamorosa remuntada di ieri il Barcellona ha aggiornato la propria leggenda in Champions League, il Paris Saint-Germain è entrato nei libri di storia dalla parte sbagliata. Non solo perchè la squadra di Unai Emery ha subito un 6-1 che ha ribaltato l'esito della qualificazione, ma soprattutto perchè è stata capace di incassare tre gol negli ultimi minuti di gara, crollando sotto l'impeto blaugrana, alimentato anche dalla spinta del pubblico del Camp Nou, una pentola a pressione, come lo aveva definito alla vigilia Luis Enrique.

Marco Verratti al termine della partita. Fonte: Reuters / Albert Gea Livepic

E il tecnico asturiano era stato buon profeta anche nel sostenere che "se il PSG ci ha fatto quattro gol in una partita, noi possiamo segnarne sei". Una frase che ora risuona beffarda nele orecchie di staff tecnico e giocatori del Paris, non più come una provocazione, bensì come una dolorosissima realtà. Il naufragio della banda Emery si è consumato lentamente, quasi fosse una lenta agonia di cui in molti conoscessero l'esito. Dal gol a freddo subito da Suarez (pasticcio tra Trapp e i suoi centrali difensivi), all'autorete di Kurzawa, passando per due rigori discussi ma comunque frutto di ingenuità individuali, per concludere con la paralisi dei minuti di recupero, in cui il bunker di Unai Emery è stato violato per la sesta volta da Sergi Roberto, lasciato libero di colpire su palla scodellata dalla trequarti da un Neymar in versione salvatore della patria catalana. Le lacrime di Emery a fine partita spiegano meglio di qualsiasi parola lo stato d'animo di una squadra costruita a colpi di acquisti milionari, ma da anni incapace di giungere alle semifinali di Champions League. Già, perchè per il PSG vincere la Ligue 1 è un obbligo (ancorchè non sempre facile da adempiere, come in questa stagione), mentre il vero obiettivo era e rimarrà l'affermazione continentale, all'interno di un'èlite esclusiva che continua a respingere il club di Al Khelaifi e compagni. Ecco il motivo per il quale la sconfitta del Camp Nou non è solo una batosta clamorosa, un brusco risveglio da sogni di gloria, ma anche un danno d'immagine notevolissimo. Una società che aspira a sedere al tavolo dei grandissimi non può subire una sconfitta del genere, neanche contro il Barcellona, neanche con tutte le attenuanti (arbitrali) del caso. Ed è qui che entra in gioco la paura di perdere, la mancanza di personalità emersa in maniera evidente nel disastro catalano, manifestatasi già dai primi minuti di gioco.

Blaise Matuidi e Marco Verratti. Fonte: Reuters / Albert Gea Livepic

Il gol in apertura di Luis Suarez ha regalato infatti al Barça la speranza del miracolo, e allo stesso tempo ha terrorizzato i parigini, arroccati nella propria area di rigore, quasi ci fosse da difendere un 2-1 conquistato con i denti nella gara d'andata. E invece no, invece il PSG partiva da un 4-0 ottenuto senza discussioni, dominando gli avversari al Parco dei Principi. Mai in grado di salire con i terzini, Kurzawa e Meunier, il PSG si è ritrovato ben presto senza sbocchi in avanti, con Lucas e Julian Draxler costretti ad affrontare da soli il pressing alto del Barça, schierato per l'occasione con una difesa a tre, proprio allo scopo di mantenere il controllo di quello stesso centrocampo spazzato via tre settimane fa. Rispetto alla gara di Parigi i ruoli si sono ribaltati, Verratti, Matuidi e Rabiot sono stati aggrediti dalla furia avversaria, incapaci di trovare risposte credibili a una strategia che pure dovevano conoscere. Il 4-3-3 di Emery, trasformato ben presto in un 4-5-1 di chiara impronta difensiva, ha mostrato la corda: pochissimi i riferimenti sulla trequarti, nullo il supporto dato a Cavani, quantomeno per un'ora abbondante di partita. Eppure il PSG aveva trovato il modo di spegnere l'entusiasmo del Camp Nou, proprio grazie al Matador, letale nel gonfiare la rete su una palla sporca, capitata sui suoi piedi da calcio piazzato (errore di Rakitic nella circostanza). Da lì in poi il Barça ha proseguito il suo forcing per inerzia, di nervi, non più per una chiara interpretazione tecnico-tattica. Il tutto fino al black-out degli ultimi dieci minuti, dalla punizione capolavoro di Neymar al rigore guadagnato astutamente da Suarez su Marquinhos, per concludere l'opera con lo spazio concesso a Sergi Roberto nell'azione conclusiva del doppio confronto. Un esito difficile da prevedere, ma obiettivamente in linea con altri finali dell'ultimo quadriennio del PSG, la squadra dei petroldollari ancora lontana dall'essere, per storia e personalità, una delle leggende della Champions League.